Una delle conseguenze – in fondo abbastanza prevedibili – della guerra tra Russia e Ucraina è la questione artica: la Russia dovrà concretizzare i suoi progetti – se e quando potrà farlo – solo ed esclusivamente con la Cina, che è rimasto il suo unico partner affidabile, almeno fino a questo momento. L’affidabilità dimostrata dalla Cina la si può agevolmente evincere anche da una semplice constatazione: la Cina sta valutando attentamente la possibilità di acquistare – o addirittura aumentare – la propria presenza a livello di partecipazioni azionarie nelle società russe di energia, ma anche di materie prime.



Questa volontà da parte della Cina di investire in modo rilevante le proprie risorse economiche in Russia non deve sorprendere, dal momento che il recente incontro alla vigilia delle Olimpiadi tra il presidente russo e quello cinese è stato un incontro all’insegna di un consolidamento delle sinergie economiche.

Un altro elemento che dobbiamo sottolineare – e che dimostra l’importanza della sinergia economica fra la Cina e la Russia – è il seguente: da un lato la Cina ha allentato le restrizioni relative all’importazione di grano russo, dall’altra parte la Russia ha invece annunciato che avrebbe aumentato le esportazioni di carbone fino a 100 milioni di tonnellate. Non solo: la multinazionale Rosneft ha stipulato un accordo per fornire alla Cina 100 milioni di tonnellate di petrolio nell’arco di 10 anni.



Infine, ritornando alla questione artica, le due nazioni hanno sottoscritto un accordo per la fornitura di gas sul lungo termine che consiste nel fatto che la Russia fornirà il gas naturale alla Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia 2. La società russa coinvolta in questo progetto di grande rilevanza economica sarà naturalmente Gazprom. Concretamente, questo gasdotto che passa attraverso l’Artico russo fornirà alla Cina circa 38 miliardi di metri cubi annui di gas naturale. In conclusione la multinazionale russa Gazprom finirà per diventare il maggiore fornitore di gas naturale della Cina.



A causa dunque delle sanzioni europee e americane è evidente che la Russia non potrà che riorientarsi sempre di più verso la Cina, allontanandosi progressivamente dall’Europa. Infatti l’aspetto geopolitico di questo accordo tra Cina e Russia in relazione alla questione artica, e in modo particolare in relazione al Power of Siberia 2, è di estrema rilevanza: questo gasdotto passerà attraverso la Mongolia consentendo quindi alla Cina di collegarsi per i trasferimenti di gas con la penisola di Yamal, giacimenti da cui provenivano fino a questo momento le esportazioni russe di gas naturale per l’Europa.

Ma esistono altri progetti in cantiere che, se realizzati, avranno un altissimo significato geopolitico: infatti la multinazionale petrolifera Gazprom ha un progetto per realizzare una estensione separata dell’originale gasdotto Power of Siberia e cioè un vero e proprio prolungamento che consentirebbe di collegare la Cina ai giacimenti di petrolio e di gas presenti sull’isola di Sakhalin, nell’Estremo Oriente russo, dove esistono Sakhalin 1 e Sakhalin 2, che forniscono i mercati dell’Asia orientale.

Ma esiste anche una terza multinazionale russa che svolge un ruolo importante nel settore del gas naturale: stiamo parlando di Novatek, che sta cercando di sviluppare impianti di liquefazione nella penisola di Yamal e cioè nell’Artico russo, come dimostrano i due progetti già realizzati e cioè Yamal Lng, che ha iniziato a produrre nel 2018, e l’Arctic Lng 2, che dovrebbe entrare in funzione nel 2025, con una capacità prevista di 20 milioni di tonnellate di gas.

Il rafforzamento della partnership economica con la Cina sarà d’altra parte inevitabile, come dimostra il fatto che per esempio i progetti tra la Russia e la francese TotalEnergies, che detiene una partecipazione del 20% nel progetto Yamal Lng, è stato bloccato per non incorrere nelle sanzioni economiche. Ma anche la multinazionale americana ExxonMobil ha annunciato che abbandonerà i suoi investimenti in Russia come quelli relativi a Sakhalin. Analogamente, la Shell ha abbandonato tutti i suoi progetti di petrolio e gas in Russia, inclusa la sua partecipazione nel progetto Sakhalin 2.

Ma esiste un altro elemento da cui si può desumere agevolmente la presenza sempre più capillare della Cina nei progetti energetici russi. Stiamo alludendo alla China National Petroleum Corporation (Cnpc), che ha una partecipazione del 20% in Yamal Lng, e allo Silk Road Fund, un fondo di investimento statale cinese che ha acquistato una quota del 10% nello stesso progetto attraverso un accordo di finanziamento a lungo termine, la China National Offshore Oil Corporation che ha acquisito una partecipazione azionaria del 10% in Arctic Lng 2.

Ora è evidente che laddove vi è un coinvolgimento tra multinazionali petrolifere cinesi e russe vi è anche un coinvolgimento diretto delle banche cinesi e in modo particolare della China Development Bank e della Export-Import Bank of China.

E l’Europa? In attesa che l’Europa possa acquisire un’autonomia energetica – progetto questo che appare allo stato attuale utopico – il vecchio continente dipenderà sempre di più da quello mediorientale, africano e americano. A questo proposito non dimentichiamoci che il progetto Nord Stream 2 era ormai arrivato a conclusione, nonostante la guerra economica posta in atto da Trump e da Biden. Ma l’attuale conflitto ha interrotto questo progetto e cioè consentirà agli Stati Uniti di poter investire cifre rilevanti in Europa. Sottovalutare il fatto che una delle ragioni di questa guerra nasca anche da una ragione di natura economica legata proprio al gas costituirebbe un errore geopolitico rilevante.

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