Si parla di controffensiva, di territori da recuperare, ma lo sforzo degli ucraini di riprendersi la parte del Paese occupata dai russi passa anche dal Mar Nero, dove il livello dello scontro resta alto. Proprio questo, d’altra parte, è uno dei nodi cruciali della guerra, vitale per Mosca come porta per accedere al Mediterraneo e di lì anche ad altre rotte. Per essere sicura di avere altri sbocchi la Russia sta anche costruendo un corridoio alternativo che passa dall’Azerbaijan per arrivare all’Asia.
Proprio sul lato del Mar Nero intanto aumenta l’insofferenza nei confronti dei russi da parte di Romania e Bulgaria, segno delle innumerevoli conseguenze che il conflitto sta avendo a livello internazionale. E mentre i russi, aggirando le sanzioni, aumentano la produzione delle armi e stringono accordi con la Corea del Nord, l’unica attività diplomatica in corso è quella dell’inviato del papa, il cardinale Zuppi, in Cina.
Anche in Occidente sembra farsi timidamente strada l’idea che per risolvere la questione russo-ucraina sia meglio un negoziato. Mentre a Kiev un sondaggio addebita la responsabilità della corruzione a Zelensky, segno forse, spiega Marco Bertolini, generale già comandante del Coi e della Brigata Folgore in numerosi teatri operativi, tra cui Libano, Somalia, Kosovo e Afghanistan, che nel Paese c’è qualche insofferenza nei suoi confronti per come è stata condotta una guerra che sta contando molte perdite.
Gli ucraini che attaccano Sebastopoli e danneggiano una nave e un sottomarino russo, la risposta di Mosca con altri droni sul porto di Odessa, Kiev che si riprende quattro piattaforme petrolifere al largo della Crimea: l’area del Mar Nero è il fronte principale della guerra?
Il Mar Nero è la posta in palio. Togliere alla Russia la Crimea significa togliere l’agibilità per la sua flotta in zona. Vuol dire escluderla dal Mediterraneo e dal canale di Suez per arrivare all’Oceano indiano. La Russia sta anche cercando di realizzare un corridoio Nord-Sud che da San Pietroburgo arriva fino all’India passando dal Caucaso, dall’Azerbaijan, per fare il quale sta mettendo in atto manovre diplomatiche importanti proprio per evitare di dipendere troppo dal collegamento via mare. I russi sono da sempre alleati dell’Armenia, ma stanno cambiando posizione proprio per assicurarsi i favori degli azeri. L’idea è di arrivare da lì all’Iran, al Golfo Persico e poi all’India.
I russi cercano, quindi, una via di terra alternativa a quella del mare?
Sì. È una via fondamentale per il commercio russo prescindendo dall’Europa.
Per gli ucraini, invece, perché il Mar Nero è un fronte così importante?
Il loro attivismo nell’area è l’ennesimo tentativo di allargare il conflitto creando una reazione sopra le righe che possa indurre altri Paesi a intervenire. Kiev sa che può vincere solo in questo caso. Da sola non riesce ad avere ragione dei russi.
I bulgari si sono lamentati delle esercitazioni russe nel Mar Nero perché bloccano l’area dal punto d vista commerciale. Un altro Paese infastidito dalla loro presenza?
C’è anche un pezzo di missile arrivato in Romania dopo che è stato colpito un porto sul Danubio. C’era già qualcuno che parlava di un possibile intervento Nato.
Insomma, tenendo conto delle posizioni della Polonia e dei Paesi baltici, c’è tutta una fascia a Est dell’Europa che manifesta una crescente insofferenza rispetto ai russi?
Più che Bulgaria e Romania, quello che fa da traino è la saldatura tra la Polonia e i Paesi Baltici. Varsavia soprattutto. Anche se con mille contraddizioni, per esempio si sono opposti all’arrivo del grano ucraino nella Ue.
La Russia si è accordata con la Corea del Nord anche a livello militare. Nel frattempo, secondo il New York Times, ha aumentato la sua produzione di armi, aggirando le sanzioni occidentali attraverso l’Armenia e la Turchia. C’è un “soccorso internazionale” per le armi che favorisce Mosca?
Che questo regime di sanzioni non sia a tenuta pneumatica non c’è ombra di dubbio. Hanno aderito i Paesi occidentali, ma la Russia ha mille possibilità di aggirarle, visto che confina con Paesi che sono distanti dall’Occidente. Le triangolazioni sono state favorite da Turchia e Azerbaijan. La Russia ha bisogno di componenti pregiate ma è in grado di produrre armi anche da sola. L’avvicinamento con Pyongyang, invece, favorisce più la Corea del Nord che i russi. Potrebbe portare qualche problema in più per gli Usa nel controllo del Pacifico, dove sostengono la Corea del Sud. Per questo le reazioni statunitensi a questa visita sono state abbastanza stizzite.
Intanto l’unica attività diplomatica in corso è quella del cardinal Zuppi che va in Cina per convincere Pechino a mediare tra i contendenti in Ucraina. Che significato può avere questa visita?
Il Vaticano sta tessendo una tela diplomatica, ma per fare questo non basta parlare con russi e ucraini, occorre farlo anche con la Cina, che è uno degli stakeholder più importanti in questa vicenda grazie a una possibile moral suasion nei confronti della Russia. La Chiesa, però, ha anche un problema di rapporti con il Governo cinese per la nomina dei vescovi che vengono designati dal partito al potere.
Ma lo scenario della guerra in questo momento dal punto di vista politico come si sta evolvendo: c’è qualche possibilità di attivare la via diplomatica per risolvere il conflitto?
Secondo me, al di là della retorica bellicista, in Occidente si è arrivati alla consapevolezza, chi più chi meno, che quella guerra che per alcuni doveva finire con un colpo di Stato e la caduta di Putin, in realtà può ben andare avanti ancora, con la Russia che tiene come Paese. Anche l’Ucraina con la controffensiva è riuscita solo a “grattare” un po’ di territorio ai russi, tra l’altro con perdite enormi. In questo contesto si sta facendo strada l’idea che si debba arrivare a una trattativa. Anche in Italia se ne parla: il ministro Crosetto ha fatto un riferimento in questo senso. Ma per negoziare bisogna tenere conto di quello che vuole la Russia. Non ci siamo ancora arrivati perché è troppo traumatico per le nostre opinioni pubbliche, ma ci arriveremo. Anche se contiamo centinaia di migliaia di morti che si potevano evitare muovendosi prima.
C’è un sondaggio della Democratic Initiatives Foundation secondo il quale per il 77,6% degli ucraini Zelensky è responsabile della corruzione nel Paese. L’Ucraina al suo interno non è così granitica come può sembrare?
Che il regime ucraino non sia democratico è chiaro, sono fuori legge i partiti di opposizione. Ormai si cominciano ad addebitare a Zelensky le centina di migliaia di perdite che questa guerra ha comportato. Se la guerra si vince va tutto bene, se si perde si fanno i conti con chi l’ha voluta, con chi ha rifiutato una trattativa, quella trattativa che poteva essere siglata all’inizio del conflitto. Poi è arrivato Boris Johnson e ha detto che era “il momento della gloria” e che non bisognava trattare. Questo viene imputato a Zelensky.
Ma la corruzione è effettivamente un problema?
Che ci sia un alto livello di corruzione è almeno probabile: in queste condizioni è facile per alcuni fare i propri interessi invece di quelli di tutti. Arrivano fiumi di denaro, armi che sono risorse preziosissime sulle quali non c’è stato nessun controllo da parte dell’Occidente. E poi Zelensky nel tentativo di avere personale disponibile sta procedendo con grande determinazione e spregiudicatezza a reclutamenti che evidentemente non sono molto apprezzati dalla popolazione. Probabilmente nei confronti di Zelensky c’è delusione perché non ha saputo corrispondere le aspettative in termini di vittoria e perché c’è una corruzione che lui stesso ha riconosciuto rimuovendo i responsabili del reclutamento.
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