Se c’è un aspetto della persona umana che si presenta come inevitabile, almeno nel tempo della nostra vita mortale (nella vita eterna rideremo di questi problemi), è la questione del preconcetto.

Di per sé avere dei preconcetti non solo, come dicevo, è inevitabile, ma in un certo senso è anche utile, se non indispensabile. Io vado a prendere un treno ad una certa ora, in una certa stazione perché ho in mano un biglietto con una prenotazione che mi spinge ad andare là. Mi siedo tranquillamente in un’auto guidata da un amico perché mi fido ragionevolmente delle sue capacità di guida.



Poi può succedere che all’ultimo momento venga proclamato uno sciopero selvaggio dei ferrovieri o che il mio amico si scopra essere l’ultima vittima dell’ultima ondata di Covid.

In questi casi urge un piano B. Ma prima di tutto urge una domanda: ma io ci tengo proprio, è assolutamente necessario che io vada dove dovrei andare? Cioè l’interesse, l’amore per lo scopo a cui ero attaccato è più forte dei problemi che devo risolvere, andando oltre a quanto ragionevolmente avevo previsto?



Come già altre volte, proviamo ad applicare questo metodo di giudizio alla questione del tentativo di preparare un piano di pace per la guerra in Ucraina. È inevitabile (pre-concetto) che ciascuno parta da ciò che desidererebbe.

Diventa però poi inevitabile che, di fronte alla necessità di un compromesso, ci si domandi a che cosa si è disposti a rinunciare in relazione allo scopo fondamentale che si è prefissato. Lo scopo è vincere, salvare le persone, salvare l’onore?

Oltre a questo è chiaro che la determinazione di un piano B, con l’esclusione di un inaccettabile piano C, può rimettere in discussione tutta la trattativa con tutti i preconcetti, ma anche senza pregiudizi.



Dire ad esempio che con la Russia non si può trattare non sembra un buon inizio della trattativa. Anche perché è chiaro che è più facile trattare con San Marino, ma pare proprio che la gloriosa Repubblica del Monte Titano sia estranea all’invasione.

Trattare non significa arrendersi. Semmai significa essere in grado, e in diritto, di farlo. E questo non è poco.

P.S.: gli acuti lettori che conoscono un noto libro, Il senso religioso, avranno forse notato che questo articolo parte da una lettura della cosiddetta terza premessa, così come due altri articoli lo erano delle due precedenti.

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