“Con la guerra, il male si diffonde. Oggi tocca all’Ucraina, domani non sappiamo a chi”. Ci dice queste parole padre Teodosio Roman Hren, vicario generale dell’esarcato apostolico per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino residenti in Italia, originario di Leopoli dove vivono ancora i suoi genitori: “Sono anziani, non possono combattere, ma possono comunque aiutare. Hanno ospitato una ragazza con problemi mentali non autosufficiente che abbiamo fatto arrivare in Italia e anche questo è importante, ogni ucraino può fare la sua parte” ci ha detto.



La chiesa di rito bizantino presente nel nostro paese (161 comunità, 150mila fedeli e 70 sacerdoti) è ovviamente attivissima in questi giorni di guerra a vari livelli, soprattutto umanitario: “La fede che si nutre della preghiera si esprime in gesti concreti di aiuto ai più bisognosi” ci dice padre Teodosio. Resta però il problema della distruzione, non solo fisica, portata dalla guerra: “Non si può più parlare di guerra di Putin e basta, quando i soldati russi bombardano le case e gli ospedali senza ribellarsi agli ordini e il 70% del popolo russo sostiene questa guerra. La pace viene solo dall’Alto e la sfida che attende la Chiesa è quella di ricostruire i ponti che la guerra sta distruggendo tra il popolo ucraino e quello russo. Vedremo se ne saremo capaci”.



I suoi genitori sono rimasti nelle vicinanze di Leopoli, comè la situazione?

Dappertutto in Ucraina è pericoloso, anche a 30 chilometri da Leopoli dove sono i miei genitori ci sono stati bombardamenti. La gente è spaventata perché non si sa mai quando l’aggressore ricomincerà a colpire. Si vive nella paura ma con grande speranza e coraggio.

Come mai i suoi genitori hanno deciso di restare in Ucraina?

Li ho invitati a venire in Italia, sono anziani e non hanno neppure la possibilità di dare un aiuto concreto come quello di combattere, ma hanno risposto che non vogliono scappare. Possono comunque fare qualcosa e lo hanno dimostrato ospitando una ragazza di Kyiv con problemi mentali che abbiamo portato in Italia. Hanno dato un grande contributo. Oggi in Ucraina abbiamo quasi dieci milioni di profughi interni che si spostano nella parte occidentale, c’è bisogno dell’aiuto di tutti.



Come Chiesa di rito bizantino in Italia riuscite a far pervenire aiuti in Ucraina?

Cerchiamo di di lavorare su tre livelli. Il primo è quello spirituale, preghiamo molto per la pace e diamo supporto spirituale ai profughi che arrivano in Italia. Cerchiamo di dare la consolazione e il supporto spirituale anche a chi vive qui da prima della guerra: il 70% dei nostri fedeli sono mamme e nonne i cui uomini sono rimasti a combattere, può capire quante lacrime scorrono in questi giorni da queste donne. La sfida è dare conforto, si sentono impotenti, ma l’arma più potente è la preghiera, chiediamo a Dio la pace e vediamo accadere tanti miracoli. Ortodossi e cattolici in Italia si aiutano e pregano insieme.  Anche in Ucraina molti ortodossi appartenenti alla Chiesa russa sono passati alla Chiesa ortodossa ucraina e anche nelle parrocchie che sono rimaste fedeli alla Chiesa di Mosca si è smesso di pregare secondo le intenzioni del patriarca russo Kirill.

Gli altri livelli del vostro impegno?

Il secondo è quello della carità, perché la fede cristiana non può essere sterile, la fede che si nutre della preghiera si esprime in gesti concreti di aiuto ai più bisognosi. Come esarcato impegniamo ogni forza per raccogliere denaro per i profughi, per chi ha perso la casa, per tutti coloro che dovranno ricominciare da capo. Raccogliamo medicinali da mandare in Ucraina e beni di prima necessità, ci arrivano tantissime richieste dagli ospedali, coordiniamo il nostro lavoro con le Caritas locali. Cerchiamo di essere di supporto ai profughi, ne sono arrivati in Italia più di 60mila e li aiutiamo con i documenti e la sistemazione.

C’è anche un impegno diplomatico per la pace da parte vostra?

Sì, come esarcato apostolico cerchiamo di avere incontri con politici, rappresentanti di varie organizzazione non governative caritative, con il corpo diplomatico. È importante far sentire la voce del popolo addolorato, far capire la realtà della situazione autentica che vive il nostro popolo.

C’è molta disinformazione infatti.

Il messaggio che cerchiamo di dare è che il male deve essere fermato. Il male è capace di diffondersi, se oggi tocca all’Ucraina non sappiamo a chi toccherà domani. La guerra non è cominciata il 24 febbraio, è cominciata nel 2014 e per varie motivazioni non è stata fermata, per questo oggi siamo in questa situazione. Sono a rischio principi come democrazia, libertà, diritti umani. In questa aggressione sono già morti più di cento bambini, bisogna rivalutare i principi cristiani di umanità. Questo vogliamo far capire al mondo occidentale, vogliamo che come società mondiale si possa reagire a quanto succede.

Le responsabilità dell’occidente per quanto succede sono tante: è una cosa che vi addolora?

Oggi vediamo molto aiuto, non si era mai visto prima che l’Europa si fosse unita così fortemente attorno a un Paese. Si tratta di una solidarietà non a parole ma con gesti concreti. La domanda che rimane è se basta quello che si fa oggi o servono altri interventi.

Pensavate che si sarebbe davvero arrivati a una guerra? Come vivete il fatto di essere stati aggrediti dalla Russia?

Ci sono tanti russi che sono contro la guerra, i numeri però si commentano da soli. Secondo alcune statistiche il 10% di loro è contro la guerra, il 70% sostiene quello che sta facendo Putin. Certo per un paese così popoloso anche il 10% è un grande numero. Nel nostro punto di raccolta a Santa Sofia a Roma ci sono cinque russi che ci aiutano a raccogliere gli aiuti umanitari. All’inizio si diceva che si trattava della guerra di Putin, ma dopo che i soldati russi hanno bombardato gli ospedali, dove c’era la scritta “bambini” a Mariupol, anche i soldati sono diventati coinvolti e colpevoli di queste stragi. Adesso non è più solo la guerra di Putin, i soldati russi dovrebbe rifiutarsi di combatterla. Come cattolici sappiamo che arriva sempre il tempo in cui dovremo perdonare tutto questo male, ma per il perdono bisogna avere davanti una persona che lo chiede.

Le guerre generano odio e vendetta: il popolo ucraino saprà perdonare?

Con l’aiuto di Dio si potrà superare. Quello che posso dire oggi è che i ponti spirituali di dialogo e di amicizia sono stati bombardati come le case. Per la chiesa sarà una sfida ricostruire questi ponti, vedremo. Oggi quasi ogni ucraino ha una storia personale, ognuno ha perso un marito, un figlio, la moglie con i bambini. Mia sorella è scappata con due bambini in braccio. Le difficoltà rimangono a lungo, perché il perdono non consiste nel dimenticare ma nell’aiutare chi chiede perdono. Come cristiani non potremo girare le spalle ai russi che chiederanno perdono, ma dimenticare sarà difficile.

Tra i cattolici italiani, anche esponenti della Chiesa, si discute se sia moralmente accettabile inviare armi all’Ucraina; lei cosa ne pensa?

Sono un sacerdote, non vorrei entrare in questa discussione. Dico solo che ogni cristiano quando si tratta di difendere la propria vita può alzare le mani e dire preferisco non prendere armi, ma quando si tratta di difendere il prossimo e la propria famiglia il cristiano è obbligato a prendere le armi, è un obbligo umano e cristiano. La difesa è moralmente giustificata.

Che prospettive di pace vede?

Anche qui non voglio entrare in dichiarazioni politiche, come sacerdote cristiano posso confermare che siamo certi che la pace è una cosa che viene dall’Alto. Tutti preghiamo per questo dono, sono convinto che la guerra finirà presto e potremo cominciare a ricostruire i ponti che esistevano prima.

(Paolo Vites) 

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