L’attacco della Russia all’Ucraina ha portato alla ribalta alcuni principi del diritto internazionale: la “sovranità territoriale” e i conseguenti principi della “integrità territoriale” e della “inviolabilità delle frontiere”. Su queste basi, non vi è dubbio che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sia illegittima e quindi condannabile.
Tuttavia, l’applicazione concreta di questi principi è fortemente condizionata dagli interessi delle parti interessate nelle specifiche questioni. In base al principio della inviolabilità delle frontiere sarebbero da condannare anche le guerre della Nato, o appoggiate da essa, contro l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, o in Siria. Queste guerre non erano dirette ad annettere territori, ma non sembra coerente con il principio di sovranità territoriale il loro obiettivo di cambiamento di regimi ritenuti non democratici e oppressivi per le popolazioni. È significativo che, per giustificare l’invasione, l’autocrate Putin si rifaccia sostanzialmente alla categoria del regime change, portando a giustificazione la “denazificazione” dell’Ucraina.
Per di più, al di là delle possibili buone intenzioni, gli esiti sono stati del tutto insoddisfacenti, in particolare per l’Afghanistan, che dopo vent’anni di guerra si ritrova più di prima sotto il giogo talebano. In Libia l’abbattimento del regime di Gheddafi ha portato alla frantumazione del Paese, sempre sull’orlo della guerra civile e con un ruolo rilevante nelle tragedie migratorie. Ulteriori conferme che la democrazia non è imponibile con le armi e che a molti popoli non risulta così immediatamente percepibile e accettabile il concetto occidentale di democrazia. La democrazia non è la risultante solo di formule e assetti giuridici e istituzionali, ma di modelli culturali e lasciti storici. Anche in Europa ci sono voluti secoli perché si affermasse l’attuale visione della democrazia, che rimane pur sempre sotto discussione o aperta minaccia.
L’aggressione russa viola anche il principio dell’integrità territoriale, data l’annessione della Crimea, già in atto, e quella del Donbass, attuale obiettivo della guerra. Anche qui Mosca ha buon gioco nel citare il precedente del distacco del Kosovo dalla Serbia, ottenuto con 78 giorni di guerra della Nato contro Belgrado. Come per gli altri Paesi citati, anche qui la situazione è tutt’altro che stabile e il Kosovo rimane una costante minaccia per la pace nella regione e in Europa.
Il principio dell’integrità territoriale pone, o dovrebbe porre, la questione delle modalità con cui lo Stato si è costituito e, se si guarda alla storia, una buona parte degli Stati moderni è nata con guerre di annessione. Se valutassimo la storia dell’unificazione della penisola italiana alla luce dei principi di diritto internazionale già citati, dovremmo concludere che i Savoia hanno condotto una serie di guerre contro gli altri Stati della Penisola, violando i loro confini e la loro sovranità e integrità territoriale, anzi cancellandole.
L’annessione unilaterale della Crimea da parte della Russia rimane inaccettabile, ma rimane anche il fatto che la Crimea non ha mai fatto parte dell’Ucraina fino alla decisione, anch’essa del tutto unilaterale, di Krusciov di includerla nel suo territorio. Una situazione analoga si può prospettare per il Donbass, dato che all’interno dell’Unione Sovietica i singoli Stati non avevano alcune autonomia e i loro territori venivano decisi autocraticamente da Mosca. Senza nessun rispetto per le volontà dei popoli coinvolti e con un sottostante processo di russificazione, ciò che è avvenuto in Crimea con la deportazione stalinista dei Tatari.
Si evidenzia così un altro aspetto del problema, cioè la necessità di far convivere i principi di sovranità e integrità territoriale con il principio di autodeterminazione dei popoli, anch’esso riconosciuto dall’Onu. Una questione che non riguarda solo le minoranze russe rimaste in Stati esterni, o conflittuali, con l’attuale Federazione Russa. Si pensi a Scozia e Irlanda del Nord per il Regno Unito, alla Catalogna per la Spagna o a valloni e fiamminghi, “separati in casa” in Belgio.
Per quanto riguarda gli Stati dell’Unione Sovietica, al suo crollo sarebbe stato essenziale, e almeno in alcuni casi non impossibile, tenere conto del principio di autodeterminazione, dando luogo quantomeno a formule federali o comunque a larghe autonomie. Un esempio viene dall’attuale situazione della Repubblica della Moldavia, dove non si tenne in nessun conto la volontà espressa dalla Transnistria di non far parte di uno Stato che ricalcava i confini arbitrariamente stabiliti dall’Urss. E anche per l’Ucraina la guerra avrebbe potuto essere evitata, condizionale d’obbligo, se fosse stata concessa al Donbass l’autonomia richiesta. Come previsto, peraltro, dai disattesi Trattati di Minsk, firmati da tutte le parti in causa.
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