Caro direttore,
ho letto con una certa apprensione l’ultimo articolo di Alberto Leoni, non tanto per la fine dell’articolo, che prospetta che Putin abbia “già vinto in quelli che ancora definiamo le nostre menti e i nostri cuori”. Sarò presuntuoso, ma i nemici per la mia mente e il mio cuore non li vedo tanto in Putin quanto nei “valori” che stanno avvelenando la nostra società e che considerano i caratteri cristiani al suo fondamento come un retaggio da sradicare. E che vengono da Oltre Atlantico, vedasi il diritto all’aborto. Sono cosciente che con questa affermazione rischio di essere accomunato al putiniano Kirill, ma non credo che la scristianizzazione della nostra società sia da approvare solo per essere contro Kirill e Putin. Anche a costo di finire nelle liste di proscrizione che sta preparando Zelenski.
La mia apprensione deriva dalle dichiarazioni, riportate nell’articolo, dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di stato maggiore della Difesa, che dal prossimo gennaio diverrà presidente del Comitato militare dell’Alleanza Atlantica (NATO). In sintesi: il conflitto in Ucraina è di lunga durata e la Russia sta accusando ingenti perdite di uomini e di mezzi; nessun obiettivo primario di Mosca può dirsi raggiunto; l’economia russa non potrà sostenere a lungo le sempre più pesanti sanzioni, né l’impegno finanziario causato dalla guerra.
Mi pare di capire che l’ammiraglio prospetti una guerra di attrito di lunga durata, che possa portare a un crollo militare, e globale, della Russia o, quantomeno, a un colpo di Stato che rovesci Putin. Ammesso – e non concesso – che questa prospettiva sia realistica, sarebbe forse il caso di fare ipotesi, o piani, su come poi gestire il dopo per evitare una catastrofe ancor maggiore. Sotto questo profilo, apprensioni provocano anche le recenti uscite di Macron, unica potenza nucleare dell’UE, e dal galoppante riarmo della Germania, come del Giappone. Hitler e Stalin non ci sono più, ma gli attori sembrerebbero gli stessi, con in più la Cina, il cui sostanziale silenzio, mi si passi il bisticcio, suona significativo. Perché parlare, visto che per l’Occidente l’Impero del Male non è più Pechino ma è diventato Mosca.
Altrettanto preoccupanti sono gli accenni, non ancora minacce, di un ricorso ad armi nucleari, magari “solo” tattiche, ma con un conflitto nucleare sullo sfondo. Insomma, una situazione che potrebbe delineare da ambo le parti una strategia da “orlo del burrone”. Nella crisi dei missili a Cuba del 1962 prevalse il buon senso, ma ha senso riprovarci e rischiare ancora?
Questa è la vera domanda, a mio parere, che può essere anche posta in questo modo: ha senso discutere su chi stia vincendo questa guerra, come quella a Gaza, quando sembrerebbe ovvio che nessuno potrà vincere queste guerre in modo definitivo e che saranno solo poste le premesse per nuove guerre ancor più disastrose, come la storia insegna?
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