Nei giorni scorsi Aleksandar Vucic – primo ministro della Serbia e leader del partito progressista serbo – ha dichiarato, nell’anniversario dei bombardamenti della Nato sulla Serbia per mettere fine alla guerra nel Kosovo, che il suo Paese deve rimanere neutrale rispetto al conflitto russo-ucraino. Così come, del resto, la Serbia ha dimostrato nelle votazioni in corso all’Onu, condannando sì l’aggressione russa all’Ucraina, ma votando contro le sanzioni al regime di Putin.
Negli stessi giorni la Nord Corea lanciava un missile intercontinentale contro il Giappone facendo franare il mondo indo-pacifico già “a frattali” e dimostrando che la Russia – più che la Nord Corea – è pronta al confronto con il Giappone. Nello stesso tempo il ministro degli Esteri cinese effettuava la prima visita ufficiale in India dopo i conflitti del 2020, che avevano visto morire venti soldati indiani e quattro soldati cinesi sulle nevi dell’Himalaya.
Tutto questo nell’inesorabile trasformazione che le relazioni internazionali stanno subendo dopo l’aggressione russa all’Ucraina. Si tratta certo della conseguenza della trasformazione del blocco di potere che domina oggi la Russia in versione aggressiva dispotico-oligarchico-ortodossa-ultra cyber (una specificità aggressiva che il nuovo blocco di comando condivide con Iran e Cina), ma anche la risposta drammatica che gli Usa hanno provocato per la loro visione unipolaristica, oggi tragicamente dominante. Crisi a cui si risponde in forma di centralizzazione imperialistica e quindi tanto economica quanto militare. Lo si fa raccogliendo attorno a sé non solo la Nato, ma anche tutte le nazioni dell’Ue, tanto in merito alle sanzioni, quanto sulla fornitura di armi all’Ucraina.
L’Ucraina multilingue, multinazionale e, per suo destino, federale e non dominata dal tallone grande-russo, come Putin e il gruppo attorno a lui pensano di poter fare. Ucraini che resistono con una potenza di fuoco molto più avanzata del previsto, che ha impantanato nei terreni molli delle terre nere l’obsoleto armamentario russo. Dietro l’abbraccio nordamericano-europeo si staglia specularmente la divisione su scala mondiale di molte di quelle nazioni che stanno a mezzo tra il centro e la periferia dell’accumulazione capitalistica planetaria. Gli Stati rentier del grande Medio Oriente, quelli post-coloniali africani con in testa il Sudafrica e i più importanti Paesi latino-americani, infatti, si sono astenuti all’Onu, scrivendo l’inizio di una nuova storia delle relazioni di potenza mondiali, in cui medie potenze come Israele, la Turchia e l’India sono destinate ad assumere un ruolo multilaterale sempre più importante.
A differenza del regime della Guerra fredda e di quello di mezzo senza trattati internazionali, con cui ci si illudeva (da parte degli Usa e delle nazioni Ue e soprattutto degli Stati scandinavo-baltici) di regolare le relazioni internazionali dopo il crollo dell’Urss, il nuovo regime che si sta delineando è quello di un mondo “a frattali” e a geometrie variabili. I primi due erano regimi internazionali di “catene montane”, ossia dove la guerra – anche quella invisibile della diplomazia – si combatte sulle cuspidi e sulle vette, lasciando agli avversari un terreno di ritirata e di riparo; quello attuale, invece, è un ordinamento internazionale frattalico. A frattali perché tutto frana e si scompone e dove posizioni come quelle di Vucic, che non vogliono con le braci dar fuoco alla prateria, sono considerate fuori legge dall’ordinamento “morale” delle teorie e delle prassi neo-liberali propugnate dall’anglosfera; morale e prassi che fanno dei diritti umani l’ago della bussola nella navigazione diplomatica, invece di quello del realismo diplomatico.
Naturalmente a chi detiene la bussola è consentito – certo per sconfiggere dittatori illiberali! – di bombardare, uccidere, sanzionare economicamente coloro che l’ago incontra davanti a sé nella navigazione. Siamo ritornati a una situazione anteriore al trattato di Vestfalia, che sancì la fine delle guerre di religione e iniziò a porre nelle mani dei popoli e non delle oligarchie dominanti la possibilità di una scelta civica grazie alla trattativa e alla mediazione e non al furore ideologico. Questo non poteva che provocare disastri, per l’entropia che si è scatenata dopo il 2001 (le Torri Gemelle) e il 2003 (la dissoluzione manu militari dell’esercito e dell’intelligence irachena e il tentato stermino di quel popolo).
Del resto, da pochi osservatori intelligenti e indipendenti, tutto fu già prevedibile nel 1991, quando la Germania costrinse di fatto le altre nazioni dell’Ue a riconoscere Croazia e Slovenia, mentre il bagno di sangue cominciava a delinearsi nei Balcani. In un mondo che usciva dalla Guerra fredda per il crollo dell’Urss e che andava regolato multilateralmente, coinvolgendo Russia e Cina nella riscrittura delle regole, questo mancato multilateralismo cominciava a far franare le montagne e a rendere tutto il mondo instabile. Seguiranno poi, in Europa, la Georgia e l’Ucraina nel 2003 e nel 2004, con le rivolte eterodirette dagli Usa contro l’espansionismo russo, in quegli Stati che avrebbero dovuto rimanere neutrali e non soggetti alla spinta di potenza nordamericana.
L’aggressione russa di oggi all’Ucraina è la risposta sbagliata a un sistema di relazioni di potenza Usa e Ue multilaterale solo a parole, ma di fatto proteso verso un nuovo unilateralismo nordamericano a cui l’Ue segue, senza idee e senza unità se non in uno stato di crisi catastrofico come per la pandemia e oggi per la guerra di aggressione ai suoi confini, in Ucraina. Siamo dinanzi a un nuovo bagno di sangue dopo quello delle guerre balcaniche. La storia non insegna mai nulla (e neppure la storiografia, se non la si legge). Che gli Usa pensino di centralizzare in forma asimmetrica le relazioni internazionali ed economiche, e che pensino di far questo continuando a umiliare la Francia, dopo lo schiaffo indo-pacifico, e altresì la Germania e tutta l’Europa, dopo la chiusura obbligata del Nord Stream 2, con l’imposizione di comprare il gas liquefatto Usa – che farà lievitare quanto mai il prezzo di tutti i combustibili fossili per le difficoltà tecniche che esso comporterà e per l’arroganza con cui questa decisione è stata imposta – ebbene: è tutto veramente disarmante.
Ed è ancor più disarmante il fatto che, nel corso di questa tragedia, il primo ministro italiano Mario Draghi (primo ministro di un’Italia che faceva della mediazione la sua forza) sia più realista del re, come spesso capita non agli alleati, ma ai subalterni, e invochi il rispetto dei contratti! È tutto qui? Un intellettuale democratico e pensante non può che dolersi di questo comportamento da Boulanger (si veda il Marx de Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte) e altro non può fare che guardare con angoscia alla follia e all’imperizia che pervadono il mondo.
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