Tutto si poteva pensare, ma non che la Russia decidesse di invadere l’Ucraina. Non credevo si arrivasse a tanto, come avevo scritto nel mio precedente articolo su queste pagine. La mia analisi sulla possibilità di un conflitto su larga scala e su un’occupazione dell’Ucraina da parte della Russia putiniana era errata. Prevedevo che si innescasse un’operazione simile a quella posta in atto in Crimea e in altre aree limitrofe dell’ex impero sovietico. Non prevedevo che lo squilibrio a favore della Russia dei missili ipersonici conducesse quest’ultima a un’operazione classica di occupazione e distruzione delle posizioni infrastrutturali dell’Ucraina. Certo, la Russia era forte della fuga nel suo stesso territorio da parte degli abitanti del Donbass e in Polonia di quelli della piccola Russia, ossia dell’Ucraina non ortodossa e non filorussa. Ma le fughe precedevano la guerra di cui i servizi segreti Usa ci avevano avvisato sui social e sui mass media.
Ma proprio per questo (quando mai i servizi segreti parlano ad alta voce?) e in conseguenza del ritiro Usa dall’Afghanistan, nessuno credeva a tali avvertimenti: neppure i famosi “mercati finanziari”. E invece era la guerra… Orbene: fare la guerra, per la Russia, è stato ed è possibile (non solo in Africa, non solo in Asia, ma in Europa, nella nazione più grande dell’Europa), perché esistono certamente accordi geostrategici con la Cina e perché Putin e la sua “corte” sono convinti che nessuno sia disposto a “morire per Kiev”.
Ricordate il cancelliere tedesco Helmut Schmidt che paventava il “decoupling” nucleare alla fine degli anni Settanta del Novecento? I missili a medio raggio sovietici minacciavano l’Europa occidentale e avvenne allora la svolta cruciale negli anni della Guerra fredda: il tentativo dell’Urss di “finlandizzare” l’Europa attraverso l’installazione dei missili SS20 nei Paesi satelliti, che però fallì. Gli europei, grazie alla pressione atlantica illuminata di Helmut Schmidt, grande Cancelliere socialdemocratico tedesco, mai abbastanza rimpianto dopo la melassa della Merkel, d’intesa con gli Usa e con non poche perplessità e divisioni all’interno dell’Europa di allora, reagirono collocando nell’Europa occidentale i missili Pershing e i Cruise. Ma in tal modo la cosiddetta “risposta flessibile” su cui si basava la deterrenza nucleare Nato perdeva la sua credibilità, perché Washington avrebbe dovuto rischiare la rappresaglia massiccia sul suo territorio per difendere l’Europa da una minaccia soltanto locale. È a questo che bisogna pensare per comprendere le indecisioni fatali rese manifeste tanto dalla Nato quanto dagli Usa dinanzi all’offensiva della Russia: essa, infatti, si inserisce nella minaccia di una possibile guerra nucleare.
Senza questa minaccia nulla si comprende e non si comprende perché la Russia si avvii alla vittoria sul campo di battaglia, ma forse non della guerra. Ripeto: forse non della guerra.
Ricordo che il presidente Usa Jimmy Carter, a fianco di Callaghan, Giscard d’Estaing e Schmidt, a seguito di un vertice in Guadalupa nel gennaio 1979, installarono sul teatro europeo i missili a medio raggio Cruise Bgm-109 Tomahawk e Mgm-31 Pershing, in numero pari agli SS20 dislocati da Leonid Brežnev che erano puntati sulle capitali europee occidentali.
L’installazione di questi sistemi d’arma, unitamente al raid di Entebbe degli israeliani e alla guerra delle Falkland di Margaret Thatcher, segnò la prima forma di attivazione consapevole di una politica occidentale proattiva dopo anni di appeasement dopo la crisi dei missili di Cuba del 1962 e la crisi petrolifera del 1973.
Nel 1991 le superpotenze adottarono il famoso trattato per la proibizione degli armamenti nucleari e di essi ne vennero distrutti circa 2.700. Negli anni susseguenti a quel trattato, invece, negli anni che segnano l’apogeo della cosiddetta globalizzazione e del cosiddetto multilateralismo democratico, la politica estera iniziò a essere condotta solo con la proclamazione dei cosiddetti “diritti umani” (e non più della ragion di stato) con la mano sinistra, bombardando, però, a tutto spiano con la mano destra, dall’Iraq alla Siria alla Libia. Tanto da parte degli Usa, quanto della Russia. La Turchia ebbe così l’occasione per inaugurare il suo futuro neo-ottomano. L’Ue non si mosse di un pollice. Di qui la guerra di Putin.
Bisogna ricordare, tuttavia, per dare a Cesare quel che di Cesare e quindi agli Usa quel che è degli Usa, che nel gennaio 2019 una riunione del consiglio Nato-Russia fu il teatro di un reciproco scambio di accuse fra Washington e Mosca, rispettivamente per il sistema Shield europeo e per lo sviluppo del micidiale Novator 9M729: un missile russo la cui entrata in servizio provocò il ritiro degli Stati Uniti il 2 agosto 2019 dal Trattato Inf. Firmato nel 1970 per una durata iniziale di 25 anni, era stato esteso a tempo indefinito nel 1995 e fu firmato da 191 Paesi, tra cui i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dotati dell’arma nucleare: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito. Se si pensa che tale trattato è, ancor oggi, l’unico strumento di portata globale in materia di disarmo e non-proliferazione nucleare, si comprende la soglia dell’abisso a cui siamo giunti.
E così giungiamo con più contezza ai giorni nostri, quando nel corso del Consiglio di sicurezza dell’Onu di cui la Russia è presidente di turno, da Mosca Putin annuncia: “Ho deciso un’operazione militare speciale. La possibilità che l’Ucraina abbia armi tattiche nucleari costituisce una minaccia strategica per la Russia”. Ecco da dove inizia, nell’inconsapevolezza del mondo intero, l’invasione dell’Ucraina, nel cuore dell’Europa orientale, sia a partire dal confine russo, sia dalla Bielorussia e dalla Crimea.
Mosca vuole “smilitarizzare e de-nazificare” l’Ucraina, così da “proteggere la popolazione” del Donbass separatista “che per otto anni è stata soggetta a maltrattamenti e genocidio”.
Putin ha affermato che qualsiasi tentativo di interferire con l’azione russa porterebbe a “conseguenze mai viste”. Il riferimento è al missile balistico Kinzhal, che “supera di dieci volte la velocità del suono”, ipersonico, che è praticamente impossibile abbattere? Certamente. E non a caso i sistemi di questo tipo sono posti sotto controllo in una base al confine con il Kazakistan lontana dall’Europa, così da rendere evidente l’espansione di potenza decisa e irredimibile della Russia nei confronti dell’Asia Centrale: dopo il ritiro degli Usa dell’Afghanistan, l’Asia Centrale è ora considerata zona esclusiva di proiezione di potenza russa. Di qui l’accordo inevitabile con la Cina, che, in tal modo, è candidata dalla forza stessa delle dinamiche internazionali e geostrategiche a essere il mediatore per eccellenza con gli Usa nei confronti della Russia.
È importante sottolineare questo problema geopolitico perché, quando nei giorni scorsi quattro Mig-31 con i missili Kinzhal sono stati fotografati sul Baltico, l’ennesimo segnale alla Nato veniva lanciato: l’intero arsenale del Cremlino si prepara all’azione, unitamente alla nuova sortita sulla Bielorussia dei bombardieri Tupolev TU22M3 Backfire: una sfida nucleare a tutti gli effetti che riguarda l’intera zona baltica.
La storia si rimette in moto. E sarà terribile risvegliarsi da un lungo sonno finanziarizzato e globalizzato.
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