Il regime di Putin ha una natura profondamente criminale e la corruzione è la sua sostanza. Si vede in tutto, anche per il funzionamento del sistema giudiziario. In passato dicevamo che era arrivata al potere la mafia. Oggi siamo certi che il suo potere si basa sul principio della lealtà personale al capo. L’abbiamo appena visto con Prigozhin. Quando a giugno scorso c’è stata la rivolta della Wagner, abbiamo pensato: “È finito, lo uccideranno”. E tutti si sono ricordati del film Il padrino, molto popolare in Russia, perché in una scena il padre avverte il figlio, dicendogli: Chi ti proporrà delle trattative, sarà il primo a tradirti. È ciò che è accaduto a Prigozhin. Invitato a dei negoziati, è stato ucciso subito dopo”.



È il racconto di Irina Ščerbakova, cofondatrice di Memorial International e premio Nobel per la pace 2022, che di recente ha tenuto tre incontri pubblici alla Fondazione Gramsci a Roma, a Pordenone legge e all’Happening 2023 a Udine, in collaborazione con Memorial Italia, l’Associazione Friuli Storia e il Centro culturale Il Villaggio. In queste occasioni la storica russa esule in Germania ha sottolineato che “qualsiasi dittatura, fondata sulla paura e sulla fedeltà al capo, è molto vulnerabile. Abbiamo visto quanto si è spaventato Putin con la marcia di Prigozhin su Mosca. Perciò il regime si basa sempre più sulla violenza”.



Professoressa, c’è un’opposizione in Russia?

Non si può parlare di una vera opposizione, però tutti i giorni sentiamo di manifestazioni di resistenza. Mi è appena arrivata l’immagine di una recinzione di fronte alla mia casa di Mosca, sulla quale è stato scritto “Putin è un criminale”. Ma solo all’inizio dell’invasione dell’Ucraina si sono verificate grandi manifestazioni di piazza, con migliaia di persone arrestate, multate, torturate e perseguitate.

 Ed ora?

La maggioranza della popolazione si è sottomessa pur volendo la pace, ma non è disposta a rischiare qualcosa per raggiungere l’obiettivo. E c’è un’altra cosa ancora peggiore: mai nella nostra storia sono stati versati tanti soldi ai militari e alle famiglie dei caduti. È un vero e proprio scambio economico, che Putin ha formulato chiaramente, aggiungendo in modo subdolo: “Sarebbe meglio se i vostri mariti e figli morissero in un incidente stradale? Non è forse meglio che muoiano come eroi?” Questo sistema di comunicazione distorta arriva a interessare anche i legami familiari, cosa mai avvenuta prima, nemmeno all’epoca di Stalin. Tutto ciò ci fa capire a quale livello di distruzione sia arrivata la società russa.



Si può parlare di società civile?

È più corretto parlare di popolazione russa, divisa in tre raggruppamenti principali: i falchi chiedono l’utilizzo delle armi nucleari e la cancellazione dell’Ucraina; i critici sono contrari alla guerra, ma rappresentano il 15-20% della popolazione e molti hanno lasciato la Russia, riprendendo una emigrazione politica che non c’era dal 1917. Infine, la parte principale della popolazione è scesa a patti con la situazione esistente, si è adattata, nascosta nella vita privata, pensando che non può far nulla e che il regime ne capisce di più. In 23 anni questa dittatura ha portato la popolazione all’apatia, rendendo possibile la guerra.

Cos’è cambiato nella popolazione?

Un esempio: ai tempi della guerra in Cecenia le mogli e le madri dei soldati facevano di tutto per cercare e trovare i morti, i feriti, i prigionieri. Oggi non c’è nulla di tutto ciò. Se le madri e le mogli hanno chiesto qualcosa, è per dire che i soldati combattono in condizioni terribili, da migliorare, non per contestare la guerra criminale.

Oltre a Navalny, quali altri esempi di resistenza ci sono?

Sono migliaia le persone in prigione che pagano l’opposizione alla menzogna. Tra i più noti, Ale Karloff, che sin dal primo giorno è andato in piazza a dire che è un crimine invadere l’Ucraina. Ora è sotto processo e continua a combattere per la verità. Altri sono Kara Murza e Ilya Jashin, ma dovrei ricordare migliaia di persone. E tuttora la gente continua ad andare in piazza, a protestare, nonostante sia molto pericoloso.

Quali sono le principali violazioni dei diritti umani?

Completamente cancellato il concetto di diritto, i tribunali non applicano le leggi e sono state adottate norme che violano la nostra costituzione. Un deputato municipale di Mosca, che non voleva ricordare una festività per l’avvio della guerra, è stato condannato a molti anni di carcere. Si tratta di condanne peggiori di quelle ai dissidenti durante l’era Breznev. È stata introdotta una dura censura, sui mezzi d’informazione e nello spazio pubblico. E la violazione più grande è l’aggressione dell’Ucraina, uno Stato indipendente. Le violazioni sembrano una costante nella storia del Paese. L’Unione Sovietica ha attraversato il periodo delle repressioni staliniane, del terrore di massa, con la fucilazione di un milione di persone, diversi milioni sono state vittime di repressioni politiche e 6 milioni di persone sono morte nella carestia indotta artificialmente dalla collettivizzazione forzata. Oggi non c’è il terrore di massa, però viviamo peggio che nella dittatura successiva a Stalin. Ma l’invasione dell’Ucraina, per crudeltà e numero di vittime, è peggio delle guerre in Afghanistan e in Cecenia.

È possibile una memoria positiva della storia russa?

È molto difficile. Come storica penso che l’Unione Sovietica e la Russia hanno avuto delle opportunità che potevano aprire a un sistema più umano, democratico, però sono stati periodi brevi e non sviluppati. Così è stato nel 1917, poi nella Seconda guerra mondiale, quando il fascismo e il nazismo furono sconfitti con il contributo della Russia, con un costo altissimo in termini di perdita di vite umane. Però i soldati russi non sono stati in grado di portare la libertà né in Europa, né nel loro Paese, anche se hanno contribuito a salvare una parte dell’Europa occidentale. Così pure nel 1990 c’è stata la possibilità di portare la libertà in Russia, ma non è stata colta. Molti oggi si chiedono perché ogni volta è stata presa una strada sbagliata, se lo chiedono per avvertire che, se la Russia dovesse avere un’altra chance, la si può e la si deve cogliere.

Com’è cambiato il lavoro di Memorial?

Molti hanno dovuto lasciare la Russia, il nostro lavoro va avanti in condizioni difficili, ma ci occupiamo di violazioni dei diritti, aiutiamo i prigionieri politici, diffondiamo le notizie sui crimini commessi dall’esercito russo, che devono essere documentati, perché altrimenti vengono dimenticati. Aggiungo che la storia è usata come un’arma nella propaganda contro l’Ucraina. Perciò, il nostro compito è cresciuto e ora Memorial è una rete di cui fanno parte 16 Paesi, come Italia, Francia, Repubblica Ceca, Germania e così via. Il nostro lavoro non ha confini. “L’ operazione speciale” è stata giustificata come lotta al nazismo. È una totale distorsione della storia, si tratta di un passato ricostruito sul nulla, quasi come un gioco al computer, e tutti i miti storici usati per giustificare la guerra, mentendo sull’origine di quel Paese, sui diritti degli ucraini ad avere uno Stato indipendente, non reggono alla critica, non hanno nulla a che vedere con la storia.

Quali sono le vere ragioni?

Putin ha tentato in vari modi di sottomettere l’Ucraina, che ha resistito. Perciò, in lui è cresciuto un odio personale perché quel Paese ha voluto percorrere una propria strada, entrare nell’Unione Europea, nella Nato. E la prima manifestazione di quell’odio è stata l’annessione della Crimea. L’invasione del 24 febbraio 2022 è una vendetta. Però, ha commesso l’errore di pensare l’Ucraina come la Russia, cioè uno Stato corrotto, in cui le persone si adattano a tutto. Pensava che l’avrebbe occupata in due settimane, messo un nuovo burattino, che Kiev avrebbe accettato. L’invasione russa è costata molte vittime ucraine, ma la Russia non ce l’ha fatta perché gli ucraini si oppongono con tutti i mezzi possibili. L’Ucraina ha cercato di guardare al futuro, di costruire uno Stato nuovo. Putin guarda al passato, un passato falsato, mediante il quale vuole giustificare la guerra. Per questo non posso fare a meno di credere che il futuro sia dalla parte degli ucraini.

Cosa ha facilitato la guerra d’aggressione?

L’avvenuta distruzione del sistema di sicurezza post-bellico in Europa, mentre in Russia è cresciuto un regime che rifiuta tutti i valori e i diritti umani, fondato completamente sulla menzogna e sulla violenza. In questo momento non vedo nessun altro modo di sconfiggere questa dittatura se non con la forza, con l’aiuto dell’Ucraina e con le armi.

Lei parlava di un ritorno al passato.

Abbiamo notizia della costruzione di nuovi monumenti a Stalin in tutto il Paese. Non possiamo non chiederci perché la menzogna ha vinto nuovamente sulla verità. Questa è la domanda che si pongono tutti coloro che comprendono il carattere criminale di Putin. Nelle difficili condizioni economiche degli anni 90, le persone hanno cominciato a far fatica a riconoscere la verità, pensavano che si stesse meglio quando l’Urss era grande e potente. Questa nostalgia, la crisi d’identità del popolo russo e la perdita del concetto di verità hanno aiutato la menzogna a vincere di nuovo. Eppure sono eredi di una cultura amata ben oltre i loro confini. La scienza e la cultura hanno perso importanza in Russia, sono state disprezzate fino a non aver valore, se non per applicazioni immediate. Putin stesso diceva “A cosa ci servono la scienza e la cultura? I cinesi ruberanno le scoperte scientifiche, i segreti. E noi li avremo da loro”. Per i russi è stato molto più comodo vivere nel mito, piuttosto che di fronte alla dura verità. Le persone erano disposte a riconoscere che c’erano state delle vittime, perché ogni famiglia ne aveva almeno una, ma non erano pronte a riconoscere che lo Stato sovietico era criminale. Arrivando al potere, con grande capacità Putin ha sfruttato tutto ciò, mettendo in piedi un altro regime criminale, di propaganda e menzogne storiche.

Può esemplificare la fatica ad affrontare la verità?

Nelle sedi di Memorial arrivavano persone che cercavano notizie sui parenti scomparsi e noi ascoltavamo i racconti. Un giorno è arrivata una donna che ci ha consegnato la documentazione riguardante la sua famiglia, dicendo che i figli non volevano ascoltare quelle storie terribili. Le ho chiesto se avesse provato a raccontare, almeno una volta, qualcosa ai figli. Si è arrabbiata e, urlando, mi ha detto: “Cosa dovrei raccontare? Di tutti questi orrori? Sapete come vivono bene i miei figli? Non hanno vissuto come me, senza i genitori, in orfanotrofio, sotto la repressione”. Questa donna era una vittima, che ha subito traumi profondissimi e non voleva ricordarli.

Poteva farlo da sola?

No, solo con il supporto delle scuole, delle università, delle organizzazioni, dello Stato, i singoli possono affrontare quei traumi. Ma il regime ha imposto la direzione opposta, la menzogna. Memorial ha cercato di dialogare con i russi sulla verità, sulle menzogne e i miti, avvertendoli sui rischi di un regime bugiardo, che avrebbe portato alla violenza, al terrore, alla guerra. Solo una piccola parte della popolazione ci ha ascoltato e sostenuto, mentre la dittatura russa ha visto in noi una minaccia, ha perquisito la nostra sede, ucciso sei nostri membri, vietato di lavorare e poi ha chiuso Memorial. Tutto ciò è finito nella catastrofe dell’invasione dell’Ucraina.

Il vostro lavoro può essere un seme di ripartenza?

Nel 1989 la liberazione dell’Europa orientale è avvenuta in modo pacifico. Non potevamo immaginare che l’Urss sarebbe crollata senza spargimento di sangue, come nemmeno le rivoluzioni di velluto in Germania orientale, in Polonia, Ungheria e in tutti i Paesi socialisti. Tutto ciò ci ha dato molta speranza. Non sempre la storia si costruisce con la violenza e i carri armati.

Oggi però lei sostiene che la pace si può costruire solo con le armi.

Per una persona della mia generazione, si tratta di una conclusione difficile da accettare. Mio padre è rimasto invalido a 19 anni a Stalingrado durante la Seconda guerra mondiale. Quindi, per esperienza personale so che la cosa peggiore è la guerra. Però, oggi sono assolutamente convinta che per sconfiggere Putin ci dobbiamo opporre con tutti i mezzi a disposizione, soprattutto con le armi, come sta avvenendo in questo momento grazie agli ucraini.

Papa Francesco ha promosso diversi tentativi per arrivare alla pace. Cosa ne pensa?

È fondamentale qualsiasi sforzo umanitario, l’aiuto alle persone in Ucraina ai profughi. Conosco molte iniziative portate avanti anche dalla Chiesa cattolica. In questo senso, sono importantissimi negoziati, trattative sullo scambio di prigionieri, mediazioni per far tornare i bambini rapiti e portati in Russia. Però, tutte le dichiarazioni secondo le quali si può raggiungere la pace con la diplomazia sono illusorie e dannose, perché danno speranza alle persone, le tranquillizzano con l’idea che si possa risolvere tutto con sforzi diplomatici. Così non si risolverà niente; abbiamo a che fare con un regime assolutamente imprevedibile e criminale, pronto a tutto.

Che peso hanno le alleanze con Cina e Corea del Nord?

Come russi abbiamo sempre scherzato, dicendo che, se fosse andata avanti così, saremmo finiti come la Corea del Nord, una dittatura feroce, che affama la gente. Guardi dove siamo arrivati, al punto in cui viene invitato il dittatore Kim Jong-un e siede al tavolo con Putin. Quanto all’alleanza con la Cina, credo che il grande Paese asiatico abbia assunto una posizione opportunistica nei confronti della Russia, che utilizzerà per sfruttare risorse energetiche a basso costo e non solo.

Il regime ha anche altri alleati.

Certo: tra questi la Chiesa ortodossa russa, che ha avuto tanti membri del clero martiri durante il periodo staliniano ma è tornata a servire lo Stato, come in passato. Perciò, abbiamo visto come ha sostenuto la guerra ancora prima che iniziasse l’invasione su larga scala dell’Ucraina e vediamo come la sostiene ancora. Una Chiesa che incita alla guerra non ha nulla a vedere con il cristianesimo. È un problema gravissimo per molte persone che si considerano ortodosse in Russia.

Quali speranze ha?

L’unica speranza è che la sconfitta in questa guerra costringa i russi a riflettere sulla colpa e la responsabilità. Senza questo non vedo alcuna possibilità per la Russia, ma dovremo combattere molto e il prezzo da pagare per il mio Paese sarà altissimo.

(Flavio Zeni)

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