L’Europa è una grande ammirata e forse anche invidiata potenza economica. E, probabilmente, anche un faro per la civiltà giuridica e le conquiste sociali (più nella forma che nella sostanza, ma questo ce lo diciamo tra di noi). Al mondo può insegnare il diritto (la gestione della giustizia è un’altra cosa), la costruzione delle regole, la capacità di dialogo. Risulta evidente che la forza più convincente cui può fare ricorso è quella della diplomazia.
Purtroppo, il tempo per praticarla nel migliore dei modi è passato da tempo. La guerra scatenata dalla Russia per la conquista dell’Ucraina si è spinta troppo avanti per non dover lasciare strascichi dolorosi qualunque potrà essere la soluzione del conflitto. La tecnica della pacifica persuasione ha lasciato il campo all’opzione militare con le conseguenze che tutti possiamo valutare osservando le immagini alle quali siamo esposti in tempo reale.
Vuol dire che abbiamo perso la nostra occasione per giocare da protagonisti in questa partita che rischia di diventare colossale nel gioco per la definizione di un nuovo equilibrio globale. Quando la decisione dipende dall’autorità della politica e dalla potenza delle armi per noi europei c’è poco da aggiungere. L’irreversibilità dei fatti rende inefficaci le parole, anche quelle di maggiore buonsenso. Dopo il massacro niente sarà più come prima.
Abbiamo, certo, reagito con maggiore tempestività del previsto sul lato delle sanzioni economiche accodandoci al carro americano. Ma per quanto possiamo amare la bandiera a stelle e strisce ed essere grati a un popolo che ha sacrificato per noi la migliore gioventù nella Seconda guerra mondiale è chiaro che i nostri interessi siano un tantino divergenti dai loro. Le ripercussioni che già stiamo ricevendo sono un segnale delle conseguenze che dovremo subire.
La guerra non doveva scoppiare. La domanda dalle cento pistole è pertanto una sola: potevamo evitarla? Sì, perché se uno spirito possiamo rintracciare nel corpo ancora acerbo dell’Unione è quello della pace. La Comunità europea nasce per regolare qualsiasi conflitto senza spargimenti di sangue; negoziando e cercando e trovando soluzioni che per quanto imperfette siano capaci di salvaguardare la libertà e la sicurezza fisica dei cittadini.
Così non è stato in questa occasione. Così non è. Esposti a ricatti e ritorsioni di ogni genere saremo destinati a soffrire molto durante e dopo la prova muscolare di un Paese con voglie imperialiste che qualcuno si è illuso fosse addirittura amico. I popoli soffrono e soffriranno molto. E forse avremmo potuto (forse dovuto) evitare agli ucraini la prova di coraggio alla quale si stanno sottoponendo senza la prospettiva di un premio che possa ripagarli.
L’Italia, poi, con la sua carenza di materie prime e la dipendenza pressoché totale dall’estero delle fonti energetiche – con la Russia a fare la parte del grande erogatore di gas vitale per le nostre imprese e le famiglie – si trova nella posizione più scomoda che si possa immaginare. Costretta a fare la faccia feroce senza avere la vocazione alla battaglia avendo perso il piglio bellico dal tempo degli antichi romani. Vaso di coccio tra vasi di ferro.
Dopo aver preso gli schiaffi rinvenienti dalla crisi finanziaria e aver patito i cazzotti portati con spietatezza dalla pandemia dobbiamo adesso incassare i colpi di un regolamento di conti affidato ai fucili e ai cannoni che abbiamo perso l’abitudine a usare. Dovremo imparare nuovamente a fare sacrifici che pensavamo fossero limitati all’isolamento imposto dal virus e dei quali pure ci siamo lamentati giudicandoli insopportabili.
Nel migliore dei casi la situazione è sfuggita di mano. Nel peggiore è stata coscientemente provocata da attori che pensavano e pensano di poter trarre vantaggi dallo sconvolgimento dell’ordine costituito. Ognuno gioca le sue carte con cinismo. Le nostre non sono granché, E per quanto abili giocatori potremo rivelarci possiamo già prevedere che saremo relegati tra i perdenti. Con una mole crescente di problemi che dovremo fronteggiare.
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