François Hollande è stato forse il presidente francese meno popolare della Quinta Repubblica, annota Politico.com. Ma l’edizione europea della principale testata giornalistica digitale statunitense l’ha voluto intervistare non solo perché dal 2012 al 2017 Hollande ha trattato direttamente con Vladimir Putin per risolvere la prima guerra ucraina, ma anche perché rimane tuttora il secondo politico più (ri)conosciuto del suo Paese, secondo solo all’ex premier Edouard Philippe e davanti al presidente in carica, Emmanuel Macron.
Quest’ultimo è stato ministro dell’Economia nell’ultima amministrazione socialista prima di formare En Marche! – al centro dello schieramento politico transalpino – e vincere due (risicate) elezioni presidenziali: nel 2017 infliggendo ai socialisti francesi una sconfitta apparentemente irreversibile; nel 2022 subendo invece la perdita della maggioranza all’Assemblea nazionale ad opera dell’ex socialista Jean-Luc Mélenchon.
La conversazione con Politico è misuratissima in ogni singola parola (spesso non tra virgolette) e ricca di ellissi a cavallo fra crisi geopolitica, futuro della Ue e situazione interna di un Paese come la Francia. Un quadro che però – nella prospettiva implicita dell’ex inquilino dell’Eliseo – appare unico. Sono visibili fili forti fra la guerra mondiale nell’Est Europa e lo sciopero che l’altroieri ha portato in piazza 3 milioni di francesi contro la riforma delle pensioni; fra il Qatargate che scuote la sinistra europea e il gelo fra Parigi e Berlino, paralizzante per l’Europa. E il distillato finale di umore – da parte del senior statesman d’Oltralpe – è indubitabilmente quello di un “diverso parere” rispetto alle narrazioni correnti. Con più di un’affinità con le dissenting opinions di un altro statista emerito del Vecchio Continente: l’ex presidente italiano della Commissione Ue Romano Prodi, compagno di partito di Hollande in S&D.
Hollande sottolinea che Putin è un leader “radicalmente razionale cioè razionalmente radicale”: conosce solo “le dinamiche della forza”. La sua strategia appare chiara all’ex presidente francese: il Cremlino punta sulla “progressiva stanchezza dei Paesi occidentali per negoziare una fine del conflitto favorevole alla Russia”. Alla fine questi due passaggi apparentemente di fatto – la guerra “avrà una fine” e il “negoziato” come opzione principale – rimangono un messaggio-sintesi assai meno lapalissiano di quanto possa sembrare.
Hollande lascia che sia l’intervistatore a ricordare quando lui e il cancelliere tedesco Angela Merkel crearono nel 2014 il “Normandy format”, chiamando allo stesso tavolo Russia e Ucraina (allora belligeranti nel Donbass e in Crimea) per trovare una soluzione negoziata. Quel tentativo europeo fu “senza frutto”, taglia corto l’articolo. Restano quindi nel voluto silenzio di Hollande gli Accordi di Minsk del 2015 (al tavolo c’era anche l’Italia di Matteo Renzi), che certamente non hanno funzionato se nel 2023 Russia e Ucraina guerreggiano per gli stessi territori. Ma nella visione di Hollande – che non nomina mai né la Nato né il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – qualcosa non ha evidentemente funzionato neppure nelle dinamiche geopolitiche sfociate infine nella “razionalità radicale” dell’aggressione russa di un anno fa.
Certo Hollande non appare ottimista sulla prospettive di un cessate il fuoco negoziato, ma per una ragione specifica: “non rassicura nessuno” che i tentativi di mediazione siano in mano a Paesi come Turchia e Cina. E la Ue? Soffre certamente della “frustrazione” comune a Francia e Germania, se non addirittura di una “mancanza di leadership” del tradizionale asse carolingio. Ma non è solo responsabilità di Macron o del cancelliere (socialdemocratico) Scholz, lui pure mai citato.
Il problema, come emerge dal taccuino di Politico, è la percezione di “uno scivolamento a est del potere in Europa, in mani di Paesi come la Polonia”. E “i Paesi dell’Europa settentrionale e orientale – essenzialmente i baltici e gli scandinavi – stando puntando molto sugli Usa, a loro rischio”.
Allora sono gli Stati Uniti a muoversi in modo scomposto? È il presidente Biden a suscitare dubbi? “Finora – dice Hollande in prima persona – Biden ha mostrato una solidarietà esemplare e ha recitato perfettamente il suo ruolo nell’Alleanza transatlantica. Ma domani, con un diverso presidente americano e un Congresso più isolazionista, gli Usa avranno la stesso disponibilità a spendere?”. È su questo versante, comunque, che la Ue “deve rassicurare i suoi partner su principi e valori. Non dovremmo deviare da essi”: un verosimile riferimento alle derive populiste e sovraniste – con potenziali crisi dello stato di diritto – osservate entro i confini Ue anzitutto in Ungheria e Polonia.
L’Atlantico è diviso, in queste settimane, anche dal controverso “Ira”, il maxi piano di aiuti pubblici varato negli Usa dalla Casa Bianca. La Francia di Macron sta premendo per una contro-risposta, anzitutto con una strategia “Buy Europe”, subito respinta però da altri Paesi europei. Un ultima volta Hollande si mantiene nei limiti di una eloquente constatazione: “La Francia sta scoprendo che i suoi partner sono per la maggior parte governati da esecutivi liberali: quando si parla all’Olanda o agli Scandinavi di aiuti pubblici diretti alle imprese, ascoltano qualcosa che è contro lo spirito ma anche la lettera dei Trattati”. Se al lettore è lasciata ogni interpretazione, sembra non mancare una sottolineatura squisitamente politica: è la cultura “liberista” resistente in Europa (grazie ad alcuni governi di centrodestra ortodosso) a impedire le risposte interventiste e keynesiane che invece la sinistra europea (a cominciare da quella al governo in Germania) avrebbe meno difficoltà a varare. Forse anche mettendo mano a quei Trattati che sono già in bacino di manutenzione.
I milioni di scioperanti francesi (vecchi piccoli imprenditori gilet jaunes premuti dalla verdismo ideologico di Macron 1 e nuovi dipendenti pubblici braccati dall’inflazione sotto il Macron 2) non stanno forse protestando contro un Eliseo “liberista”? E perché l’ex ministro hollandiano Macron – il cui vero avversario resta la destra di Marine Le Pen – insiste a non voler allargare verso sinistra il “campo stretto” della sua non-maggioranza parlamentare? Se ne riparlerà abbastanza presto: certamente all’eurovoto della primavera 2024.
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