Pausa tecnica nelle trattative tra Mosca e Kiev. Mariupol continua a resistere. Il generale ceceno Kadyrov minaccia di morte gli ucraini da uno scantinato di Kiev. La Cina definisce disinformazione la notizia apparsa su Ft e Wall Street Journal secondo cui la Russia avrebbe chiesto alla Cina assistenza militare. Mosca si pone il problema di come non spedire a fronte i soldati di leva. Truppe bielorusse avanzano verso il confine. Anche i profughi, per sfuggire alle bombe russe. In Ucraina è un altro giorno di guerra.



“Quello che in Turchia sembrava un negoziato fallito sta dando dei frutti” dice al Sussidiario il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore in numerosi teatri di guerra, dalla Somalia al Kosovo e all’Afghanistan. “Le parti cominciano ad avere abbastanza elementi per sedersi e trattare avendoci rimesso molto, ma non troppo”. Secondo Bertolini, le sorti di Mariupol potrebbero cambiare il quadro.



Qual è a suo modo di vedere il fatto saliente di queste ore?

Da un punto di vista tattico, quello che sta succedendo a Mariupol. Mosca secondo me ha tre obiettivi fondamentali: Kiev, Kherson e Mariupol. Su questa città si sviluppa lo sforzo principale, perché prendere Mariupol vuol dire creare un corridoio terrestre tra Crimea e Donbass.

Kherson invece?

Controllando la città di Kherson si può minacciare Odessa, che potrebbe essere usata nei negoziati come merce di scambio. Ovviamente sono congetture: potrei essere smentito domani mattina.

Secondo fonti ucraine il battaglione Azov ha chiesto rinforzi,  perché Mariupol sarebbe in grave difficoltà.



Ne sono convinto, per come si può esserlo da qui. Abbiamo tutte informazioni “drogate”, però a Mariupol c’è la guerra che non c’è a Kiev, che tutto sommato è ancora indenne.

La presa russa di Mariupol come potrebbe cambiare le trattative?

Potrebbe introdurre un’ipotesi di spartizione: la Russia si tiene la Crimea e la fascia costiera da questa fino al Donbass; l’Ucraina mantiene Odessa e l’accesso al Mar Nero.

Ieri i negoziati hanno avuto l’ennesimo stop: “Pausa tecnica”. Cosa significa?

Posso solo fare supposizioni. L’obiettivo iniziale di Putin – neutralità dell’Ucraina, riconoscimento dell’annessione della Crimea e indipendenza delle repubbliche del Donbass – potrebbe essere stato modificato per giustificare il prezzo, non previsto, pagato sinora da Mosca. E il corridoio di Mariupol potrebbe esser entrato nelle trattative. In ogni caso credo che fra non molto, soprattutto se cadesse Mariupol, potremmo avere delle novità.

E se il suo fosse solo un auspicio?

La Russia non ha l’interesse e neppure la forza militare per occupare tutta l’Ucraina e soprattutto per mantenere l’occupazione.

D’accordo. Ma neppure si pensava che Putin arrivasse a tanto.

Ipotizziamo pure che Mosca voglia occupare tutta l’Ucraina. Anche ammesso e non concesso che ci riesca, lo sforzo del mantenimento non sarebbe sostenibile. Se veramente in Ucraina ci fosse la resistenza della quale parlano tutti, è in diverse parti c’è, non si può pensare di controllare per anni un territorio così vasto, con in più una resistenza alimentata dall’esterno. Si verrebbe a creare un altro Afghanistan russo.

E se gli ucraini fossero disposti a questo? È il loro paese.

Ma in questo modo lo distruggerebbero. Credo che Zelensky contasse – e conti ancora – su un intervento occidentale che possa ribaltare la situazione; sicuramente non ha le forze per capovolgerla da solo.

Qual è l’obiettivo delle operazioni russe nell’ovest ucraino?

Un preciso messaggio: sappiamo quali sono le basi dove affluiscono materiali e forze e sterne a supporto dell’Ucraina e possiamo colpirle.

È auspicabile una No fly zone sull’Ucraina come chiede Zelensky?

Sarebbe un atto di guerra che ci vedrebbe immediatamente catapultati nel conflitto.

Rimarremmo nel perimetro delle armi convenzionali?

Non possiamo esserne certi. A quel punto tutto, veramente tutto, sarebbe possibile. I russi non vivono su Marte, o dall’altra parte dell’Atlantico, ma in Europa. Sanno che nel dopoguerra è con l’Europa che dovranno trattare. Ma questo calcolo, purtroppo, non esaurisce la questione.

Che cosa intende dire?

In presenza di un’escalation subentrano aspetti psicologici difficili da controllare. Quando una leadership conta le vittime, vede aumentare rapidamente i problemi interni, si chiude verso l’esterno e non dialoga con nessuno – com’è successo con Lavrov alla conferenza Onu sul disarmo: quando ha preso la parola è rimasto solo –, può balenare la tentazione di risolvere tutto con una decisione che si ritiene risolutiva.

È partito l’allarme sul possibile uso di armi chimiche. Esiste la possibilità che venga costruito un pretesto, un false flag?

In Siria è successo più volte. In questa guerra le informazioni, soprattutto quelle veicolate dalle immagini, si prestano benissimo a creare i presupposti di una indignazione generalizzata che possa legittimare iniziative estreme. Anche a prescindere dall’uso dei gas. Gli americani hanno detto che le armi chimiche sono una linea rossa. È un avvertimento; speriamo che non succeda.

Come è stato possibile per le forze ucraine eliminare ben tre alti ufficiali russi, i generali Andrej Sukhovetsky, Vitalij Gerasimov, Andrej Kolesnikov?

Io non so se sia vero e non so in quali circostanze siano morti. Detto questo, entrambi i contendenti dispongono di armi che consentono di intervenire in profondità nel dispositivo nemico. Se si è trattato di azioni mirate, devono esserci state delle informazioni di intelligence.

Informazioni occidentali?

Gli occidentali hanno sicuramente il controllo satellitare dell’area. Va comunque detto che ormai ci sono molto mezzi per individuare le persone sul terreno. In più gli ucraini, essendo a casa propria, hanno uomini in grado di monitorare gli spostamenti dei russi senza ricorrere necessariamente a supporti tecnologici sofisticati. Diciamo che il fatto che siano stati uccisi tre generali russi non è la prova di un sicuro coinvolgimento da parte di altri.

Ieri una fonte olandese ripresa da Repubblica, Gerjon, ha monitorato 27 voli cargo militari italiani negli ultimi 13 giorni atterrati in Polonia. Potrebbero essere armi.

È una cosa che ci coinvolge più del dovuto. È un passo molto ardito, che a me onestamente non piace.

Perché?

Perché la Russia, con Putin o con qualcun altro al suo posto, esisterà anche dopo questa guerra.

In questo periodo, ascoltando analisi e opinioni, si ha l’impressione che i militari siano più saggi dei politici.

L’impressione mia è che nell’opinione pubblica ci sia un po’ troppa faciloneria nel fare da spettatori a questa guerra. La tv ci fa vedere tutto, ma lo fa come in un videogioco, anche quando tante persone muoiono sul serio. Un conto è vedere le cose attraverso uno schermo, seduti a casa propria, discettando con gli amici di quello che giusto o sbagliato. Altra cosa è avere partecipato a operazioni sul campo, e avere visto donne e bambini senza vita. Le armi sono strumenti di morte. Sembrerà una banalità, ma vederne gli effetti è un’altra cosa.

C’è troppa emotività?

Tutte le trasmissioni tv puntano molto sull’aspetto emozionale ed è così che muovono il consenso delle opinioni pubbliche. Non mi sorprende. Ma la guerra è un evento estremamente complesso, nel quale entrano in gioco moltissime componenti che interagiscono tra di loro. La violenza è quella principale, ma non è la sola: c’è la pianificazione, il morale dei soldati, il controllo dei rifornimenti… È un’attività estremamente razionale, non è violenza cieca.

In Ucraina a che cosa stiamo assistendo?

Ad una guerra classica, sistematica, nella quale si infliggono perdite, si subiscono e tuttavia si continua. Al tempo stesso è qualcosa di nuovo per tutti. Siamo davanti a un tornante violento, drammatico, della storia del mondo. Viene smentita la teoria di Francis Fukuyama sulla fine della storia. Assistiamo al fatto che i trattati si fanno dopo le cannonate, non prima. Non c’è nessun “Nirvana”, nessun paradiso terrestre. Il male e la violenza continuano a far parte della nostra vita.

(Federico Ferraù) 

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