Per capire questa guerra convenzionale e le difficoltà che i russi stanno incontrando sul terreno non si può non tornare alla lezione di Clausewitz e a quanto ha scritto più di due secoli fa. Ne è convinto Giorgio Cuzzelli, generale di brigata dell’Esercito Italiano in congedo, oggi consulente nel campo della sicurezza internazionale, docente presso l’Università di Napoli l’Orientale e presso la Lumsa di Roma e autore-curatore, con Matteo Bressan, del libro “Da Clausewitz a Putin: la guerra nel XXI secolo”, in libreria in questi giorni.
Il punto di partenza è che c’è sempre un nesso inscindibile fra politica e guerra. “Clausewitz ci dice che la guerra è uno dei mezzi a disposizione della politica, ma non necessariamente l’unico. La guerra è una scelta politica: nessuno obbliga a farla. E nel caso attuale dell’Ucraina lo si vede con assoluta chiarezza”.
Partiamo da qui. Nessuno ha obbligato Putin a fare la guerra, eppure la intrapresa. Per quale motivo?
Perché tra tutti i mezzi che la politica gli mette a disposizione solo la guerra gli consente di ottenere il suo effetto politico.
Quale?
Siamo in presenza di due sistemi valoriali contrapposti: da una parte, quello dell’Occidente, basato su regole e rispetto degli individui; dall’altro, un sistema basato sulla coercizione, sulla forza, su una concezione estrema dell’idea di nazione, che porta alla sopraffazione degli altri.
Molti osservatori però in questi giorni hanno parlato di un Putin pazzo e inaffidabile. Condivide?
Non è assolutamente così. Abbiamo a che fare invece con un interlocutore estremamente razionale che nella sua lucidità incarna, fino alle conseguenze più estreme, questo discorso della sopraffazione. E noi occidentali, non volendo più accettare l’idea della guerra – il che è giusto in linea di principio, ma non sempre tiene conto della realtà – ci trinceriamo dietro l’idea della pazzia di Putin.
Perché ancora una guerra convenzionale nel XXI secolo?
Il primo obiettivo del nostro libro è proprio quello di esaminare oggi il fenomeno della guerra per vedere se sia rimasto inalterato nel corso del tempo. Si fa un gran parlare di guerre ibride, di compagnie private di sicurezza, di cyber e di spazio, ma la guerra contemporanea rispecchia i caratteri della guerra di sempre.
Perché?
Se lo scopo fondamentale della guerra, come dice Clausewitz, è piegare la volontà dell’avversario, vediamo che, pur utilizzando mezzi diversi, metodi e finalità rimangono gli stessi. Lo stesso Clausewitz, già dai primi dell’Ottocento, dice che la guerra viene gestita da quella che chiama una “trinità”: il governo che la decide, l’esercito che la combatte e il popolo che la sostiene. E anche qui nulla è cambiato.
Non si direbbe: in Russia ci sono state manifestazioni contro la guerra. Non è che sotto il potere di Putin s’avverte qualche scricchiolio interno?
Le rispondo citando l’esempio del regime della Germania Est, il più monolitico del blocco orientale, con un sistema di repressione poliziesca terrificante. Quanto è durato quel regime dopo l’imponente marcia delle candeline a Lipsia? Una notte. Non vi è regime illiberale che possa reggere un minuto se la terza parte della trinità di Clausewitz non lo sostiene. In Russia oggi il fronte interno sta tenendo. Certo, migliaia di persone sono scese in piazza, ma nei centri principali, cioè stiamo parlando – per ora – di una percentuale molto bassa di cittadini.
Su che idee si basano le strategie di guerra di Putin e della Russia? Perché non hanno finora fatto un uso massiccio dei bombardamenti aerei?
Il potere aereo è una prerogativa tipica dell’Occidente, il cui scopo principale è ridurre le perdite e l’impronta bellica sul terreno con interventi il più possibile chirurgici e indolori per noi, non certo per chi li subisce. Ma il potere aereo non è mai stato risolutivo, perché non assicura il mantenimento del controllo del terreno. Ci vuole il piede del fante. In più, non dispongono dello stesso potere aereo dell’Occidente. Non per nulla, utilizzano moltissimo i missili.
Si dice anche che Putin abbia dovuto correggere la sua strategia. E’ così?
Secondo Clausewitz, ci sono sempre due forze che condizionano l’azione militare. La prima è il caso: basta anche un nonnulla per far sì che tutto non vada come vogliamo noi, anzi, spesso e volentieri, può cambiare drasticamente l’andamento della guerra. E lo vediamo ogni giorno in quel che sta accadendo in Ucraina.
E il secondo caveat?
E’ quello che Clausewitz chiama l’attrito, l’insieme di quattro pesanti condizionamenti, che messi in combinazione decidono del successo o dell’insuccesso di un’operazione militare. Il primo è la volontà contrapposta dell’avversario, il fatto che il nemico non fa quello che vogliamo noi. E con gli ucraini questo lo vediamo in tutta la sua magnitudine. Il secondo è la capacità delle nostre forze: in relazione all’avversario, i nostri sono in grado di fare quello che pretendiamo da loro? Anche in questo caso quanto siano insufficienti alla bisogna le forze russe è abbastanza conclamato. Il terzo aspetto è l’ambiente in cui si combatte: non solo quello fisico, legato alla geografia o al clima, ma anche quello umano. E proprio questo fattore umano in Ucraina si sta rivelando determinante, sta facendo la differenza. I russi erano convinti di entrare nel paese come i tedeschi a Vienna nel 1938 e invece si sono trovati davanti a una tenacissima resistenza. Da ultimo, la disponibilità di informazioni sull’avversario, quella che Clausewitz chiamava “la nebbia della guerra”. Anche in questo caso, l’impressione è che i russi siano caduti vittime o della loro stessa propaganda o di uno spaventoso vuoto informativo.
Infatti adesso si stanno ritirando da Kiev.
Ogni guerra prevede uno sforzo principale, che coincide con l’obiettivo primario da raggiungere, e una serie di sforzi sussidiari, il cui scopo è distrarre l’avversario e logorarne le forze. Avendo attaccato l’Ucraina da nord, da sud e da est, è difficile capire quale fosse lo scopo principale dei russi: prendere Kiev e decapitare il regime ucraino? Oppure liberare definitivamente il Donbass? O ancora, tagliare fuori l’Ucraina dal mare di Azov e dal mar Nero, arrivando fino a Odessa?
Secondo lei?
All’inizio lo sforzo principale era la decapitazione del governo di Zelensky da ottenere con un colpo a sorpresa delle forze speciali su Kiev, verosimilmente tentato e verosimilmente fallito.
Quando?
All’inizio, quando c’è stato il tentativo di occupare l’aeroporto della capitale con i paracadutisti portati dagli elicotteri, mentre fuori da Kiev si stava formando la lunga colonna di carri armati. I russi hanno cercato di replicare quanto già fatto a Kabul nel 1979: la capitale afghana è stata conquistata prima con l’impiego di forze speciali che hanno decapitato le autorità governative e poi i carri armati, muovendosi sulle principali direttrici, hanno occupato l’intero paese.
Perché questo blitz in Ucraina è fallito?
Perché gli ucraini questo gioco lo conoscono perfettamente: erano con i russi a Kabul, facevano parte tutti assieme della stessa Armata Rossa.
Da quel momento gli sforzi sussidiari sono diventati quelli principali?
I russi hanno spostato l’asse dello sforzo militare sulla tenaglia da est e da sud per andare, da un lato, a chiudere le forze ucraine schierate alle spalle del Donbass per proteggerlo, così da eliminare la parte più consistente, reattiva e moderna dell’esercito ucraino, e dall’altro per poter acquisire libertà di movimento nel sud del paese. Ma hanno incontrato molta più resistenza di quanta ne avessero immaginato e soprattutto hanno disperso lo sforzo su troppe direttrici diverse.
Che cosa si può prevedere adesso?
Si potrebbe andare verso una situazione di stallo, nel corso della quale i russi recupereranno le forze più logorate per ricostituirle a ridosso del confine con la Bielorussia o addirittura al suo interno. Nel frattempo, continueranno a mantenere la pressione davanti a Kiev e a Kharkhiv per tentare magari il colpo da sud. E’ un’ipotesi. Ormai ne sono successe tante in questo conflitto che districarsi in un tale labirinto di azioni sta diventando molto difficile.
Che errori hanno commesso i russi?
L’Armata Rossa come la conoscevamo nel passato non c’è più. Mosca non può più contare sul suo storico rullo compressore, fatto sostanzialmente di fuoco, terrestre e aereo, e di truppe da buttare sul terreno per soffocare l’avversario con una superiorità numerica eccezionale. Pensi, per esempio, che alla fine della Seconda guerra mondiale sul fronte orientale questa superiorità russa era dell’ordine addirittura di 10-12 a uno.
Che cosa è successo?
Primo, i russi non hanno più quella disponibilità demografica: l’Unione Sovietica contava 290 milioni di abitanti, la Federazione Russa circa 140 milioni con grossi problemi nel medio-lungo periodo: invecchiamento precoce, malattie, tassi critici di sopravvivenza alla nascita. In secondo luogo, Mosca ha professionalizzato le forze armate, che vanno costituite, pagate e mantenute. E se in questi ultimi 20 anni Putin ha destinato gran parte dei suoi proventi derivanti dalla vendita di gas e petrolio proprio a ripristinare l’apparato militare, rimane il fatto che il bilancio della Difesa della Russia prevede ogni anno una spesa che arriva a stento a 70 miliardi, quello degli Stati Uniti ammonta a 700 miliardi, dieci volte tanto. Oggi con 120-130mila soldati russi non si può certo attaccare un paese grande come l’Ucraina. Nell’estate del 1944 l’Armata Rossa in Ucraina attaccò con quattro fronti il il gruppo armate centro tedesco mettendo in campo oltre un milione di soldati e in meno di 6 mesi si ritrovò alle porte di Vienna. Da ultimo, ha seguito l’Occidente sulla strada della modernizzazione, sempre per risparmiare uomini. Più armi, più mezzi, ma meno soldati. Principio che si sta rivelando del tutto errato. Non sono le armi che fanno le guerre, sono gli uomini.
Molti richiamano con grande insistenza il rischio di un possibile utilizzo di armi chimiche o batteriologiche. Che ne pensa?
L’arma chimica non è strategica, ma tattica, serve a risolvere situazioni locali. Il suo utilizzo però è talmente complesso che spesso è controproducente più per chi la utilizza che per chi la subisce. Basta che piova o che il vento cambi direzione e succede il finimondo. In aggiunta, vi sono forti controindicazioni di ordine politico e giuridico nel suo impiego. Non so fino a che punto il gioco valga la candela.
E la minaccia nucleare?
Quando parliamo di armi nucleari stiamo evocando una possibilità che fa molto gioco agli ucraini, come del resto quella dell’arma chimica: sventolano questo spettro perché vogliono che l’Occidente intervenga al loro fianco, ma l’Occidente non ha alcuna intenzione di veder polverizzate le sue capitali per aiutare Kiev. Il discorso non regge sotto il profilo logico.
Cosa intende dire?
Dallo sgancio della seconda atomica a Nagasaki, il 9 agosto 1945, la minaccia nucleare non mai andata al di là dei concetti teorici di mutua distruzione e di dissuasione sui quali si è mantenuta la pace durante tutta la Guerra fredda. E’ il cosiddetto tabù nucleare: ci si prepara all’atomica perché rappresenta un fattore di dissuasione, ma nel contempo nessuno immagina di utilizzarla perché ciò significherebbe superare una soglia oltre la quale non ci sarebbe che la fine del genere umano. Le sembra possibile che Putin possa immaginare la distruzione del suo paese, perché questo succederebbe con l’impiego delle armi nucleari?
Zelensky, secondo fonti ucraine, sarebbe scampato a ben quattro attentati. Oltre a quella sul terreno, è in corso anche una guerra sporca, più nascosta?
Non esistono guerre sporche o pulite, esistono le guerre, dove vale tutto. Accanto alle operazioni palesi, da sempre esistono quelle occulte, svolte da forze speciali e servizi di informazione, che hanno nelle Black Ops il loro braccio armato. E nel contesto ucraino è del tutto plausibile che ne stiano avvenendo, da entrambe le parti. Quanto all’eliminazione di Zelensky, è del tutto logico che i russi cerchino di eliminarlo, perché con l’avanzare del conflitto tutti si sono resi contro come lui sia la vera anima della resistenza ucraina: a due settimane dal conflitto Zelensky riscuoteva la fiducia di appena il 26% degli ucraini, ma in questo conflitto ha mostrato doti da condottiero che nessuno avrebbe mai sospettato, men che meno i russi. E’ il pilastro della resistenza e per Mosca va eliminato ad ogni costo.
Compagnia Wagner, mercenari siriani, guerriglieri ceceni: qual è il loro ruolo in questa guerra?
La storia dei siriani che vanno a combattere in Ucraina la vedo molto dubbia. In Ucraina si combatte una guerra convenzionale ed è difficile muovere, inquadrare, preparare ed equipaggiare queste bande di predoni. Senza dimenticare che le truppe russe mal sopporterebbero la loro presenza. I ceceni, invece, potrebbero essere utilizzati come forze sacrificabili per attività puntiformi di particolare peso e rischio. Diverso il discorso della Wagner: è una forza di sicurezza privata guidata da un oligarca contiguo al cerchio magico di Putin e formata da ex militari, quindi è tutta gente che può essere facilmente reinserita in combattimento senza soluzione di continuità: sono mercenari russi abituati a usare equipaggiamento russo e a combattere per gli interessi russi.
Cosa serve ai russi per vincere questa guerra?
Serve la fanteria, che è mancata loro fin dall’inizio. Ci vogliono gli uomini sul terreno, altrimenti non si va da nessuna parte. E i fatti lo stanno dimostrando.
L’Occidente ha risposto all’invasione militare con le sanzioni. E’ “guerra” anche questa?
Anche la guerra economica rispecchia i caratteri essenziali della dottrina di Clausewitz, quando parla di manovra, ovvero la combinazione di massa, velocità e sorpresa: se devo colpire, lo faccio con tutte le mie forze, in un luogo ben preciso, senza preavviso e con la massima velocità, così che il nemico non possa avere il tempo di riprendersi. Nel momento in cui colpisco con le sanzioni, attacco con la massa del mio potenziale economico quello che ritengo essere il punto più debole del mio avversario e lo faccio a sorpresa, mica glielo dico con due mesi di anticipo.
Se la natura della guerra è rimasta intatta, allora che cosa è cambiato?
Come spieghiamo nel libro, è cambiato il nostro atteggiamento. Dalla fine della Seconda guerra mondiale e con l’avvio della Guerra fredda, che aveva proprio lo scopo di rendere remota l’evenienza di un conflitto, la guerra è uscita dall’immaginario collettivo. Un mix di pacifismo, multilateralismo e fideismo nella tecnologia che alla fine ci ha portati a dire: la guerra è inutile, non bisogna farla e se proprio si è costretti è sempre meglio che la faccia qualcun altro.
(Marco Biscella)
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