Il viso è quello di un bambino, la testa rasata a zero come si usa fare con i soldati, gli occhi sperduti nel vuoto sembrano cercare un aiuto, una carezza, il volto dei genitori. Cosa ci fa dietro le sbarre Vadim Shishimarin, 21 anni, sergente della quarta divisione Panzer Kantemirov proveniente dalla regione di Mosca? Non è uno dei terribili ceceni, massacratori islamisti che hanno ucciso i loro stessi fratelli nella guerra del loro paese passando dalla parte dei più forti, gli sterminatori mandati da Putin a Grozny dove sono morti almeno 25mila civili.
No, è uno delle decine di migliaia di ragazzini mandati a combattere e a morire da Putin in Ucraina, per motivi che neanche loro sanno. È il primo soldato russo accusato di crimini di guerra finito dietro le sbarre e a processo, rischia l’ergastolo. Secondo l’accusa ha sparato a un civile in bicicletta disarmato da dietro le spalle, freddandolo vicino alla sua abitazione, un uomo di 62 anni. Non sembra qualcosa di simile al massacro di Bucha, centinaia di civili uccisi dai soldati russi per terrorizzarli, o perché rifiutavano di riconoscere l’autorità degli occupanti russi. No, secondo quanto è dato sapere gli avrebbe sparato perché lo ha visto con un cellulare in mano e ha creduto fosse un’arma. Altri dicono che gli è stato ordinato di farlo per impedire che l’ucraino avvertisse dell’arrivo dei soldati russi. O forse era solo spaventato. Non si sa.
Fino a oggi siamo stati abituati a vedere i volti e i cadaveri degli ucraini, i volti massicci e senza paura dei difensori di Azovstal, adesso vediamo in faccia quel nemico mandato a denazanificare una nazione dove il nazismo non esiste, un compito immane e senza alcun senso. Sono tantissimi come lui e sono tantissimi questi ragazzi caduti in combattimento, mandati allo sbaraglio da generali incapaci e disinteressati delle loro vite.
C’è una leggenda che ha fatto breccia a proposito del numero di russi morti nella guerra contro i tedeschi. Una cifra immane, 11 milioni di soldati morti, il paese che ha pagato il prezzo più alto nel corso della Seconda guerra mondiale. La propaganda sovietica prima e quella putiniana non dicono però che il numero è così alto perché i comandanti russi e Stalin mandavano al massacro milioni di soldati male equipaggiati e mal preparati, incuranti di quanti loro ragazzi morivano. La stessa cosa sta succedendo oggi.
Qualche giorno fa sono state diffuse immagini atroci di un tentativo da parte russa di valicare una fiume nel Donbass. I russi avevano cercato di costruire un ponte galleggiante, come sempre mandando allo sbaraglio migliaia di uomini e dozzine di mezzi corazzati. Gli ucraini li hanno tempestati a colpi di artiglieria e li hanno respinti. Il giorno dopo, come se non fosse successo niente, i russi ci hanno riprovato. C’è stato un secondo massacro. Si vedono soldati russi affogare nell’acqua, il ponte distrutto per la seconda volta, decine di carri armati in fiamme. A Putin e ai suoi generali non importa niente quanti soldati russi moriranno in questa inutile guerra. Ragazzini come Vadim che dovrebbero essere a giocare a pallone fra gli amici o a conoscere ragazze della loro età. A innamorarsi. Se mai tornerà a casa il sergente Shishimarin non avrà più una vita, la sua è stata distrutta in Ucraina.
Sono sempre più numerose le notizie di ammutinamenti, sabotaggi a opera degli stessi soldati russi, autoferimenti per tornare in patria, anche suicidi.
L’esercito russo non si preoccupa neanche di recuperare i cadaveri dei suoi soldati, li lascia marcire lungo le strade, nei campi. Così che le loro madri non li vedano e nessuno sappia quanti di loro si sono sacrificati sull’altare del nulla, del male.
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