Nell’analisi del secondo dopoguerra in Europa emerge un intricato quadro di fedeltà divise tra la nazione e gli schieramenti internazionali. Franco De Felice coniò il termine “doppia lealtà” nel 1989, riflettendo su come, nella Guerra fredda, i gruppi dirigenti fossero incastonati in una dinamica di fedeltà nazionale contrastata da quella verso blocchi politico-militari più ampi. In Italia, l’adesione allo schieramento atlantico e il conflitto tra antifascismo e anticomunismo hanno delineato una tensione costante, una sorta di “costituzione materiale” che affiancava quella formale. Le posizioni di potere, specialmente nell’intelligence, richiedevano un nullaosta di sicurezza NATO e, di fatto, un tacito consenso statunitense, delineando una condotta di servizi d’informazione e forze di sicurezza caratterizzata da questa “doppia lealtà”. La difesa della patria veniva così spesso preferita alla fedeltà costituzionale, una realtà amaramente confermata da testimonianze di ufficiali in inchieste giudiziarie su stragi e complotti.
Il generale Gian Adelio Maletti evidenziò la cruda realtà di questa legge non scritta durante le sue dichiarazioni alla Commissione Stragi, rivelando un’ambiguità fondamentale nella difesa costituzionale. La storiografia recente ha interpretato gli atti di stragismo come parte di una strategia della tensione con scopi anticomunisti, un tentativo di contrapporsi a un’ipotetica deriva a sinistra della società italiana. La pubblicistica ha talvolta semplificato la posizione strategica dell’Italia nella contrapposizione bipolare come un intrico di retroscena e dimensioni occulte, descrivendola come Paese a “sovranità limitata”. Si è insinuato che dietro le stragi si celasse l’ombra della CIA e degli “amerikani”. Tuttavia, la realtà si presenta più sfumata: gli USA, descritti come una poliarchia democratica, non erano monolitici nel loro approccio al comunismo europeo, lasciando ampi margini di autonomia alle periferie, soprattutto in operazioni sporche che garantivano il “diniego plausibile”.
La CIA riconobbe l’Italia come un grande laboratorio di manipolazione politica clandestina. Le dottrine di guerra non ortodossa, discusse pubblicamente in Italia sin dagli anni 60, avevano un proprio centro di elaborazione nel servizio segreto militare italiano, SIFAR, e si collegavano a reti internazionali anticomuniste. Le inchieste hanno rivelato una rete di contatti tra gruppi paramilitari di estrema destra e personale delle basi militari americane in Italia, specialmente nella Rosa dei venti, una presunta organizzazione di difesa dello Stato. La massoneria, comprese logge NATO e il Grande Oriente d’Italia, hanno avuto un ruolo in questi intrighi, con personaggi chiave come Gianfranco Alliata di Montereale, aventi collegamenti interni ed esterni. In conclusione, la responsabilità politica nazionale nello stragismo rimane oscura. Le élites interne spesso si nascondevano dietro la colpa delle forze internazionali, rallentando l’assegnazione di responsabilità. Gli esponenti del governo italiano dal 1969 in poi hanno avuto un ruolo ambiguo, partecipando solo marginalmente e talvolta coprendo le azioni dei servizi segreti. La documentazione declassificata mostra un quadro complesso di operazioni coperte e finanziamenti occulti, con legami tra i servizi segreti e gruppi eversivi di estrema destra.
La strategia della tensione sembra pertanto inserirsi in un piano più ampio di destabilizzazione per stabilizzare il sistema in una direzione neocentrista e conservatrice, pur nel quadro di un anticomunismo e una fedeltà atlantica che non esauriscono l’intero spettro delle dinamiche interne italiane. La condotta dei servizi segreti, secondo i documenti, sembra essere stata influenzata maggiormente da logiche politiche interne, rispetto alle quali l’anticomunismo fungeva da alibi per coprire interessi particolari. In questo contesto, la politica italiana si è servita dei servizi segreti come strumento per gestire scontri di potere e conservare status quo favorevoli. La Guerra fredda ha offerto il contesto ideale per giustificare azioni illegali in nome della ragion di Stato, e il legame tra intelligence e politica ha rivelato aspetti patologici, tra cui pratiche depistatorie e dossieraggi illegali. Queste azioni sono venute alla luce nel tentativo di preservare una certa conservazione sociale e politica, una “destra profonda” che superava la sua manifestazione parlamentare e che includeva settori cruciali della classe dirigente e del mondo economico e militare italiano.
La declassificazione di documenti statunitensi ha permesso di capire meglio il ruolo degli USA, che, nonostante contatti occasionali con elementi golpisti, non hanno mai sostenuto pienamente scenari di colpi di Stato in Italia, considerando tali prospettive troppo destabilizzanti per un Paese considerato strategico nel Mediterraneo. La ricerca della verità dietro le stragi e il coinvolgimento dei servizi segreti continua a essere un processo complesso, con molte domande ancora senza risposta. La sfida per la storiografia e la società italiana rimane quella di comprendere pienamente le responsabilità nazionali e internazionali per garantire che la memoria collettiva e la comprensione storica siano il più complete e accurate possibile.
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