Gli americani, avvisati da Mosca, bloccano un piano segreto di attacco degli ucraini contro i russi. Ripristinati i contatti tipo guerra fredda, il ministro della Difesa di Putin, Belousov, ha telefonato al suo omologo Austin, capo del Pentagono, per chiedere ragione di questa iniziativa. Gli statunitensi, come riporta il New York Times, si sono adoperati per bloccare. Non perché non vogliono più che si combatta, ma perché a campagna elettorale in corso preferiscono che non ci siano grossi scossoni: né un’escalation, né una vittoria della Russia difficile da digerire.



Intanto, però, spiega Marco Bertolini, generale già comandante del COI e della Brigata Folgore in diversi teatri operativi dall’Afghanistan al Kosovo, Zelensky è diventato più realista e sta prendendo in considerazione l’ipotesi di una trattativa, guarda caso a novembre, quando si saprà chi sarà il nuovo presidente USA. Un negoziato che a quel punto potrà fare comodo sia ai democratici che ai repubblicani, ma che non sarà facile: Putin vuole ridefinire i rapporti del suo Paese con l’Occidente. Non solo, il coinvolgimento della Cina, dove il ministro degli esteri ucraino Kuleba è appena stato, e dell’India (Modi andrà tra poco in visita a Kiev) dimostra che in realtà si vorrebbe ridisegnare un nuovo ordine mondiale, quello che russi e cinesi chiedono da tempo a scapito dell’egemonia americana.



Il New York Times ha rivelato l’esistenza di un piano segreto dell’Ucraina per attaccare la Russia. Come mai gli americani bloccano un attacco ucraino ai russi?

Quella fra Belousov e Austin, su iniziativa del ministro russo, non è la prima telefonata tra loro. Una chiamata che vuol dire tante cose: che i belligeranti veri si parlano e questo è cosa buona, e che entrambi, almeno per ora, vogliono limitare l’escalation, tanto che gli USA sono intervenuti presso gli ucraini per bloccare il piano. Non la ritengo una situazione strana. Ho l’impressione che gli ucraini abbiano ricevuto una mano dagli americani ma si stiano prendendo tutto il braccio. Lo dimostrano gli ultimi attacchi in Crimea ma anche altri messi a segno nella zona di Rostov, situazione che ha creato qualche preoccupazione negli USA. In realtà, gli americani non vogliono che Kiev smetta di combattere, ma continuare a mantenere il controllo sugli ucraini.



Forniscono le armi e vogliono dire la loro, coordinare le operazioni?

Sì, la cosa è già in atto da tempo, un po’ perché hanno gli strumenti ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) con droni e satelliti, un po’ perché hanno l’esigenza di fasare questa operazione con le problematiche interne: sono impegnati con la campagna elettorale e quello che succede in Ucraina non deve essere di intralcio.

Contemporaneamente Zelensky rilancia un piano di pace che dovrebbe essere pronto entro la fine di novembre. Da una parte il piano segreto, dall’altra l’opzione trattative?

Gli ucraini si rendono conto che sul campo non possono vincere. I russi stanno andando avanti, stanno spingendo forte verso Nord-Ovest, con guadagni significativi tutti i giorni. Il vantaggio occidentale è rappresentato dal contesto strategico: stanno premendo sulla Georgia che però non ci sta a costituirsi come secondo fronte.

Il piano occidentale sarebbe di impegnare i russi anche in Georgia?

Sì. Lo ha detto anche il primo ministro della Georgia: c’è una pressione per assumere un atteggiamento antirusso e filoucraino. Le polemiche sulla legge georgiana che obbliga le ONG che prendono più del 20% di finanziamenti dall’estero a dichiararlo, si inseriscono in questo contesto. Tra queste c’è Open Society di Soros, che opera spudoratamente in funzione antirussa. La Georgia, però, si è un po’ raffreddata nei confronti della NATO. Vorrebbe entrare nell’Alleanza Atlantica ma non costituire il secondo fronte con la Russia, anche perché Abkhazia e Ossezia del Sud, rivendicate dalla Georgia, sono sotto controllo russo. Dal punto di vista strategico, insomma, ci sono diverse opzioni a favore dell’Occidente per mettere pressione sui russi, come il Caucaso e il Baltico, ma in Ucraina i russi stanno andando avanti: gli ucraini hanno grosse perdite e la popolazione ne ha abbastanza del conflitto. Zelensky qualcosa deve fare.

A cominciare da cosa?

Deve accettare la realtà e pensare a un negoziato, tra l’altro smentendo sé stesso: in Ucraina non è possibile per legge negoziare con i russi, invece lui sta parlando proprio di questa possibilità. Allo stesso tempo tenta di creare problemi all’interno del territorio nemico: i russi, per esempio, hanno sempre accusato gli ucraini di essere dietro l’attentato al Crocus di Mosca. Gli attentatori erano tagiki e proprio in Tagikistan c’è un ambasciatore ucraino che in patria è stato capo dei servizi.

Zelensky dice che gli è stato offerto un cessate il fuoco ma ha rifiutato. Come mai?

In realtà la Russia non vuole un cessate il fuoco, significherebbe dare respiro a un’Ucraina in difficoltà, che così avrebbe il tempo di far arrivare nuove armi, ad esempio gli F-16, e di addestrare le reclute. Mosca vuole una pace nella quale si ridiscutano gli equilibri internazionali, vuole essere riconosciuta come potenza con una sua area di interesse. La guerra conclamata è fra Russia e Occidente, riguarda tutti i settori, anche quello sportivo (i russi non sono alle Olimpiadi) e culturale.

Non è la prima volta che Zelensky parla di trattative a novembre e intanto russi e americani hanno ripreso a sentirsi: la prospettiva del negoziato ora potrebbe essere presa in considerazione anche dai democratici USA?

Agli americani non conviene una pace adesso, ma valutare tutto una volta che si saprà chi sarà il presidente. E potrebbe far comodo anche ai democratici. Adesso, tuttavia, è bene che la guerra vada avanti. Concluderla vorrebbe dire sancire la vittoria della Russia. E questo non va bene né per i democratici, né per i repubblicani: presentarsi così alle elezioni sarebbe una sciagura.

Per il momento, insomma, niente pausa, si continua a combattere?

Una volta definito il presidente USA una sosta per riorganizzarsi farebbe comodo. Le forze armate occidentali sono abituate a operazioni a bassa intensità contro obiettivi facili, forze irregolari, eserciti meno strutturati, ma non hanno la capacità di sostenere una guerra ad alta intensità contro un esercito come quello russo. Non ci sono più i militari di leva, le aree per l’addestramento, il munizionamento. Putin non vuole una pausa perché servirebbe per ricostituire le scorte occidentali. Invece vuole un tavolo con gli americani per ridiscutere l’equilibrio generale.

Kuleba è andato a Pechino e tra poco a Kiev arriverà il premier indiano Modi. L’obiettivo è anche di definire un nuovo ordine mondiale?

Sì. Putin lo ha detto dall’inizio: vuole sostituire il globalismo a guida unica statunitense.

L’Ucraina, quindi, è diventata l’occasione per disegnare questi nuovi equilibri?

Certamente. Le guerre si concludono sempre con un cambiamento di carattere politico. Ed è quello su cui punta la Russia, ma anche la Cina, che sa di essere nella lista di coloro con cui gli USA vogliono fare i conti. L’arrivo di Modi, che fa parte dei BRICS, è significativo di questo. C’è un attivismo politico che fino ad ora non c’è stato, innescato dalle batoste subite dagli ucraini. Se Kiev avesse vinto si sarebbe andati a Mosca a chiedere la resa. Quello che sta succedendo è che tutti vanno a Kiev per convincere Zelensky a scendere a più miti consigli.

(Paolo Rossetti)

 

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