Non si vede ancora uno sbocco a possibili trattative concrete di pace tra Russia e Ucraina. Mentre il presidente turco Erdogan appare l’unico in grado di mediare, la posizione militare riflette il raggiungimento da parte russa di quello che ora appare essere chiaramente l’obiettivo di questa guerra: la penetrazione dell’esercito russo in territorio ucraino disegna una mezzaluna, con i vertici verso Kiev a nord e verso Mikolayv e Odessa a sud. Se si confronta la mappa dell’avanzata russa con quella che indica la maggiore concentrazione di popolazione russofona, le due appaiono perfettamente corrispondenti.
Soprattutto, come ci ha detto Marco Di Liddo, analista responsabile del Desk Africa e del Desk Russia e Balcani del Cesi (Centro Studi Internazionali), “per i russi l’obbiettivo principale è occupare quella striscia di terra che dalla Crimea, passando per Mariupol, congiunge la penisola alle zone di influenza russa”. Allo stesso tempo, ci ha detto ancora, “fino a quando il popolo ucraino avrà la forza e i rifornimenti militari per combattere, si continuerà a fare la guerra”.
Secondo molti analisti ciò che impedisce l’avvio di una seria trattativa di pace è l’ostinazione americana con cui si sostiene l’Ucraina. Cosa ne pensa?
Gli Stati Uniti hanno ovviamente il vantaggio che la guerra non si combatte né sul loro territorio né a ridosso, ma lontanissimo, in Europa. Questo vantaggio permette di avere una posizione negoziale più dura, di porre cioè condizioni più ostative. Detto questo, la variabile principale non è la volontà americana, quanto la volontà del popolo ucraino, perché tanto gli Usa che l’Europa hanno detto chiaramente che non si va allo scontro diretto sul campo per evitare l’internazionalizzazione del conflitto.
Emerge anche la volontà del popolo ucraino di combattere senza dare alcuna possibilità alle trattative.
Gli ucraini hanno manifestato la volontà di resistere a oltranza. Quindi il punto da cui cominciare ogni analisi è: quanto a lungo gli ucraini vorranno e potranno resistere? Fino a quando sarà così, avranno il pieno appoggio di Stati Uniti ed Europa.
Ma gli ucraini non sono stati illusi dall’Occidente proprio sulla possibilità di poter resistere? E soprattutto, a che prezzo in termini di vite umane?
È dal 2008 che è chiaro che l’Ucraina non sarebbe entrata nella Nato e non perché lo hanno detto gli Stati Uniti, ma perché tre paesi membri, Francia, Germania e Italia, hanno dichiarato pubblicamente, tramite i loro organi governativi, che non era il momento di farla entrare nella Nato. Gli Usa hanno sempre lasciato una finestra aperta, perché nell’ottica delle relazioni internazionali e dell’attrito tra Washington e Mosca la loro strategia era mettere pressione alla Russia, come tutte le grandi potenze fanno. Attenzione, perché il rischio è di interpretare questi fatti in maniera ideologica, non in maniera analitica.
Cosa significa?
Fra le grandi potenze c’è sempre il tentativo di mettersi in difficoltà e di indebolirsi a vicenda. Là dove gli Usa hanno trovato la volontà ucraina di seguire un certo percorso, cioè entrare nell’ambito dell’Europa occidentale, l’hanno sostenuto al massimo proprio per indebolire Mosca. Quindi chiedersi se gli Usa stanno provocando Mosca non è corretto: non è questione di provocazione, è una scelta politica volta a indebolire la Russia per farle pagare il prezzo più alto di questa operazione militare.
Come vede a questo punto la possibilità di una trattativa seria? Zelensky ha detto che è pronto a accettare la neutralità del suo Paese, ma rinuncerà al Donbass e alla Crimea?
Siamo lontani da qualsiasi risultato concreto, ancora non si è parlato di contenuti, non c’è nulla sulla carta di eventuali trattative. Si sta ancora parlando di volontà, di idee, di orientamenti, tanto è vero che non si è ancora raggiunto neanche un cessate il fuoco e questo è un dato oggettivo. Sull’accettare o meno dipende da due variabili.
Quali?
Una è la capacità di resistenza ucraina, che si basa sulla volontà del popolo e sui rifornimenti in armi da parte occidentale. Finché il popolo avrà la forza e le risorse militari per combattere, si continuerà a combattere. L’altra variabile è quella russa: fino a quando riusciranno anche loro a sostenere questo sforzo militare? Gli ucraini sperano che i russi cedano prima di loro, ma i russi dicono no, cadranno prima gli ucraini e non vogliono perdere un centimetro di quello che hanno conquistato.
Quale possibilità è più realistica?
Più passa il tempo e sentendo le parole di Zelensky, sembra si vada verso una situazione in cui sarà l’Ucraina che finirà per cedere. I russi dove hanno conquistato terreno possono trincerarsi e quindi passare da un’attività offensiva ad una difensiva. Conquistati i territori, si piazzano per difenderli, è meno costoso che attaccare. E i territori conquistati dubito che verranno restituiti.
Quindi si andrà verso la neutralità dell’Ucraina e il riconoscimento della Crimea? A Putin basterà questo?
Sì, ma questo porta inevitabilmente al riconoscimento del corridoio di Mariupol, altrimenti tutta la guerra non avrebbe avuto senso. Senza quel corridoio in mano russa la Crimea resta in una situazione di vulnerabilità. Per questo credo che i russi non accetteranno qualcosa di meno di una forma di controllo del corridoio di Mariupol: o un’acquisizione diretta o un proto-Stato fantoccio che permetta il collegamento via terra della Crimea alla Russia e alle repubbliche del Donbass.
Negli ultimi giorni è salita in primo piano la questione energetica, legata al pagamento in rubli del gas russo. Siamo a una vera e propria guerra energetica, economica e diplomatica?
Questa è la variabile principale, da qui non si scappa. Mentre sul discorso delle sanzioni o del sistema Swift i russi hanno già trovato un modo per ammorbidire i danni, pur con costi elevatissimi ma senza subire un vero e proprio collasso, sul gas è molto più complicato.
Perché?
I russi devono venderlo a noi per ricevere i soldi che servono per finanziare la guerra e soprattutto per non far svalutare il rublo. Il rublo è stato ancorato al gas come una volta il dollaro era ancorato all’oro, con il vecchio Gold standard. Noi, anche se è vero che ci avviciniamo ai mesi estivi, non possiamo immaginare di sostituire in cinque mesi il 40% dell’import europeo di gas. Fino a quando non si troverà un’alternativa nel breve e nel lungo periodo, dobbiamo stare molto cauti.
Saremo in grado di accettare un taglio delle forniture energetiche?
Il 25% della produzione elettrica italiana è legata al gas russo e dobbiamo chiederci: come andremo a sostituire questo 25%? Questa è la domanda. Dobbiamo pensare a un piano di contingenza. Dobbiamo cercare di vedere cosa faranno i russi, bisogna vedere se nei contratti energetici c’è qualche postilla che impedisca il pagamento in rubli. Ma anche se ci fosse, in un momento di guerra i contratti diventano carta straccia. Dobbiamo razionare il gas? Quanto i cittadini europei sono pronti a un taglio così improvviso? Nessuno lo sa.
(Paolo Vites)
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