“Devo mettere in evidenza la situazione di uno Yemen che sta diventando una crisi umanitaria dimenticata. Gli yemeniti sono forti, ma stanno soffrendo grandemente. Più di due yemeniti su tre dipendono dall’assistenza umanitaria per il cibo, i medicinali e altre necessità”. Queste parole della dottoressa Annette Heinzelmann, in Yemen per conto dell’Oms, descrivono bene la situazione nel Paese dopo più di otto anni di guerra. Il sistema sanitario è sempre più vicino al collasso e circa 13 milioni di abitanti sui 33 totali hanno bisogno di aiuti sanitari; inoltre, 540mila bambini sotto i cinque anni soffrono di una pesante denutrizione, “con un rischio diretto di morte”. Il tutto mentre gli aiuti internazionali sono del tutto insufficienti a fronteggiare la situazione.



La guerra tra i ribelli sciiti houthi, appoggiati dall’Iran, e il governo, sostenuto dall’Arabia Saudita e da una coalizione internazionale, ha causato finora quasi 380mila morti, il 60% a causa di malattie e fame. Il blocco del porto di Hodeidah da parte della coalizione ha impedito anche l’arrivo di aiuti umanitari. Ciò malgrado la violenza dei combattimenti nell’ultimo anno sia decisamente diminuita.



Nell’aprile 2022 è stata infatti concordata una tregua, estesa poi fino ad ottobre, ma anche se la tregua è formalmente scaduta, è continuata una bassa intensità nei combattimenti. Nel marzo di quest’anno, Arabia Saudita e Iran hanno deciso di ristabilire le relazioni diplomatiche interrotte ormai da sette anni. Un passo molto importante per tutta la regione e che può avere esiti positivi per un definitivo cessate il fuoco in Yemen. Una prospettiva rafforzata dalla visita in aprile a Sanaa, la capitale attualmente in mano ai ribelli, di inviati sauditi e dell’Oman, che si propone come possibile mediatore. Gli incontri con gli houthi non hanno finora portato alla ufficializzazione di una nuova tregua, ma i contatti in tal senso continuano. Contemporaneamente vi è stato uno scambio di prigionieri che ha interessato quasi 900 persone.



Accanto all’inizio di una fase di disgelo tra i due “protettori”, vi sono probabilmente altre cause dietro questo miglioramento della situazione, si spera non transitorio, che sarebbe fondamentale per fronteggiare la catastrofe umanitaria provocata dalla guerra. I ribelli si sono dimostrati molto agguerriti, portando attacchi anche in territorio saudita e, perfino, negli Emirati Arabi Uniti, evidenziando così una certa vulnerabilità della armatissima Arabia. Tuttavia, anche gli houthi non paiono avere molte possibilità di aumentare le proprie conquiste.

Sul fronte governativo si sono poi create diverse fratture, per esempio con la nascita di un movimento separatista, sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti, nello Yemen del sud, regione importante per il porto di Aden. Abu Dhabi ha ridotto il suo intervento diretto in Yemen, rimanendo però molto presente nella regione di Aden e nell’arcipelago di Socotra, rilevanti per il controllo del Mar Rosso e dell’imponente traffico commerciale che vi si svolge. Questa strategia non è evidentemente risultata gradita all’Arabia Saudita, aggiungendosi come elemento di frizione alla già esistente concorrenza economica tra Riyadh e Abu Dhabi.

Apparentemente, anche le relazioni tra Arabia Saudita e Stati Uniti non sono al loro apice. Biden ha limitato l’intervento attivo di Washington nella guerra nello Yemen, dato che molti nel Congresso, in entrambi i partiti, sono critici sul modo in cui i sauditi conducono la guerra. Un altro elemento di scontro è stato il rifiuto di Riyadh alla richiesta di Washington di opporsi, all’interno dell’Opec+, al taglio alla produzione, favorendo di conseguenza la Russia.

Si arriva così alla riapertura delle relazioni diplomatiche con l’Iran, il grande nemico degli Usa nella regione. Per di più, l’accordo è stato stipulato con la mediazione di Pechino, il grande avversario di Washington che sta sempre più comportandosi da grande mediatore, alle spalle degli Stati Uniti, come in questo caso, o con il loro accordo, almeno apparentemente, come nella guerra tra Russia e Ucraina.

Questo ruolo di paciere di Pechino non può che lasciare perplessi, vista la quasi quotidiana minaccia di riportare con la forza Taiwan all’unica Cina. Speriamo, tuttavia, che serva almeno a dare un inizio concreto alla fine della tormentata vicenda yemenita.

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