In un precedente articolo avevo sottolineato come lo Yemen, con la disastrosa guerra che vi si combatte da più di sei anni, fosse uno dei punti di differenziazione della politica estera di Joe Biden rispetto a quella di Donald Trump. Negli ultimi tempi del suo mandato, Trump aveva inserito gli Houthi, gli sciiti sostenuti dall’Iran, nella lista delle organizzazioni terroristiche, inserimento che Biden ha cancellato in una delle sue prime decisioni da presidente.
L’atteggiamento più duro nei confronti dell’Arabia Saudita è dimostrato anche dalla volontà di limitare la vendita di armi a Riyadh, come richiesto da una mozione bipartisan del Congresso. L’Arabia Saudita, però, rappresenta circa un quarto delle esportazioni di armamenti degli Stati Uniti e, aggiungendo gli altri investimenti finanziari negli States, dispone di forti argomenti di difesa.
Le azioni belliche nello Yemen continuano, con gli Houthi all’attacco per conquistare Marib, al centro di una regione ricca di petrolio. Inoltre, i ribelli sciiti hanno ripetutamente lanciato droni e missili in territorio saudita, colpendo diverse installazioni petrolifere. In risposta, i sauditi hanno ripreso i bombardamenti di Sanaa, la capitale in mano agli Houthi, attacchi peraltro condotti a nome della coalizione internazionale di cui fanno parte anche gli Stati Uniti.
Forse anche queste contraddizioni nella posizione di Biden hanno spinto, nello scorso febbraio, 41 parlamentari democratici a scrivergli una lettera in cui chiedevano chiarimenti sulla reale politica dell’Amministrazione nei confronti della guerra nello Yemen. La lettera conteneva una ventina di domande, che andavano dal tipo di armi che si sarebbero continuate a vendere ai sauditi, al controllo sul loro uso, a quali passi si intendesse compiere per porre fine alla catastrofe yemenita. Si chiedeva anche di intervenire per bloccare i finanziamenti e la vendita di armi, da parte dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, a milizie armate collegate con al Qaeda.
Si chiedeva anche un deciso intervento su Riyadh perché cessasse il blocco che sta rendendo sempre più drammatica la situazione dei civili yemeniti. La stessa richiesta è al centro di una nuova lettera del 6 aprile, firmata questa volta da 73 parlamentari democratici, in cui si fa riferimento a un’inchiesta della Cnn che pone in rilievo l’aggravamento della già disastrosa situazione umanitaria a seguito del blocco degli approvvigionamenti di combustibili. Un’analoga lettera è stata inviata a Biden nella stessa data da 70 organizzazioni statunitensi, in cui viene denunciato il silenzio dell’Amministrazione nei confronti del blocco, valutato come un sostanziale appoggio.
La comune richiesta è che il blocco venga unilateralmente sospeso da parte dei sauditi, senza collegarlo all’accordo su un cessate il fuoco con gli Houthi, come invece proposto a marzo da Riyadh. La proposta è stata respinta dagli Houthi e, secondo interviste pubblicate da Al Monitor, ha lasciato scettici molti yemeniti, che non intravedono vicina una soluzione realistica alla situazione in cui versa il Paese.
Non sarà semplice per Biden risistemare i pezzi del tragico puzzle yemenita così da assicurare una accettabile via d’uscita a tutti i contendenti e, soprattutto, senza dover fare ammenda degli errori commessi dagli stessi Stati Uniti. Hanno quindi ragione i firmatari delle lettere citate nel chiedere che la questione umanitaria, a partire dal blocco, venga gestita separatamente dalle questioni geopolitiche. Un modo per vedere chi ha a cuore veramente le sofferenze del popolo yemenita e chi le usa solo come copertura dei propri interessi di dominio.
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