Come era ampiamente prevedibile i ribelli Houthi hanno posto in essere circa 200 violazioni dell’accordo che era entrato in vigore il 9 aprile servendosi sia di missili balistici sia di armi leggere, prendendo in particolare di mira la prigione centrale della città di Taiz che è importante dal punto di vista strategico, perché si trova a metà strada tra Sanaa e Aden, dove si è rifugiato l’ex presidente Abd Rabbo Mansur Hadi. Questi attacchi sono dal punto di vista strettamente strategico una prosecuzione coerente delle offensive che i ribelli hanno portato in essere a partire dal marzo del 2015.



Come ampiamente noto la guerra nello Yemen iniziata nel 2015 ha superato ormai le 91mila vittime. Iniziata a seguito del golpe degli Houthi (sciiti), dopo che per mesi avevano chiesto invano alcuni riconoscimenti come l’inserimento di 20mila appartenenti alla minoranza sciita nelle forze armate governative, l’assegnazione di 10 ministeri e l’inclusione nelle regioni di Azal, di Hajja e dei governatorati di al-Jaw, gli Houthi erano poi riusciti a rovesciate il governo di Abd Rabbo Mansour Hadi.



La coalizione araba a guida saudita e supportata dagli Stati Uniti ha riportato in questi ultimi anni evidenti insuccessi strategici-militari.

A tale riguardo sia sufficiente fare riferimento all’attacco missilistico di gennaio degli sciiti Houthi in Yemen ai danni della infrastruttura militare situata a Ma’rib nell’ovest dello Yemen, attacco che avrebbe cagionato la morte di almeno 70 soldati yemeniti e il ferimento di altri 50, secondo quanto riferito dalla edizione in lingua inglese di Al Jazeera.

Secondo il periodico, l’attacco posto in essere sarebbe stato attuato da missili lanciati da droni. Sotto il profilo militare è difficile negare – visto l’entità dei danni – che si sia trattato di una delle offensive maggiori e più rilevanti degli ultimi anni. D’altronde lo scopo di questa specifica offensiva era finalizzata alla conquista della capitale Aden.



Anche sotto il profilo degli accordi tra le parti in conflitto vi è stato un epilogo fallimentare, come prova il mancato rispetto dell’accordo nel dicembre 2018 per il cessate il fuoco a Hodeida sita sul Mar Rosso. Il peso e la rilevanza politica ed insieme economica dell’alleato saudita è tale che nell’aprile del 2019 , nonostante il Congresso degli Stati Uniti avesse approvato una risoluzione nella quale si chiedeva al presidente degli Stati Uniti di fermare entro 30 giorni il sostegno alla coalizione saudita nella guerra yemenita,Trump aveva posto il veto sia perché ritiene l’Arabia Saudita l’alleato più rilevante per limitare e contenere la proiezione di potenza iraniana in Medio Oriente, sia per i legami strettissimi tra Usa e Arabia Saudita nel contesto petrolifero e militare.

Dal punto di vista geopolitico lo Yemen occupa certamente una posizione strategica di grande rilievo poiché controlla lo stretto di Bab el Mandeb che collega il Mar Rosso con il Golfo di Arden, snodo commerciale fondamentale per il petrolio.

Proprio per questa ragione non deve destare alcuna sorpresa il conflitto tra sauditi, emiratini e iraniani per mantenere l’influenza in un paese del Golfo come lo Yemen.

Una delle ragioni di questo conflitto è anche da ricercarsi nel fatto che per Riad avere al confine sud una forte presenza sciita rappresenta di fatto un vera e propria minaccia per la propria sicurezza nazionale anche perché tale presenza potrebbe indurre alla ribellione altre popolazioni sciite nella zona orientale del paese. Per questa ragione l’Arabia Saudita ha posto in essere un’alleanza con gli Stati Uniti per combattere lo Yemen riuscendo a trovare il sostegno dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo e dell’Egitto insieme al Marocco, alla Giordania, al Sudan, al Kuwait, agli EAU, al Qatar e al Bahrein. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che l’alleanza tra Arabia Saudita e EAU risulta quanto mai precaria e problematica: infatti è noto che gli Emirati sostengono i separatisti meridionali con lo scopo di indebolire la Fratellanza musulmana e contrastare al Qaeda creando in questo modo una propria area di influenza nel sud dello Yemen. Proprio per questa ragione non deve destare alcuna sorpresa il fatto che questa alleanza sia venuta meno nel 2018 proprio nella zona sud dello Yemen. Fra le motivazioni individuabili in merito al ritiro degli Emirati dallo Yemen vi è innanzitutto la necessità di salvaguardare il commercio petrolifero dello stretto di Hormuz, ma anche nel Golfo di Oman e nel Mar Rosso meridionale, cercando di evitare di essere coinvolti direttamente in un conflitto con l’Iran a causa delle tensioni con Washington, conflitto che danneggerebbe gli stessi Emirati; vi sono poi il bisogno di consolidare la propria strategia di proiezione di potenza economica nel Corno d’Africa, nel Mar Rosso attuata e realizzata proprio grazie alla guerra yemenita; la possibilità di condurre una guerra per procura favorendo la secessione del sud dello Yemen dallo Stato centrale senza essere coinvolti direttamente; e infine la necessità di riposizionare le proprie truppe a Hadhramawt e a Shabwa, luoghi con presenza di rilevanti giacimenti petroliferi.

In primo luogo dobbiamo ricordare che il ruolo degli EAU a livello militare nello Yemen è stato fondamentale. Non solo sono stati addestrati 90mila soldati yemeniti, ma gli Emirati hanno posto in essere la realizzazione delle Forze d’Elite dell’Hadhramawt di Shabwa e la Security Belt Forces di Aden.

In secondo luogo la lunga guerra yemenita ha consentito agli EAU di impossessarsi di rilevanti snodi geoeconomici in Yemen: infrastrutture portuali come Aden e Mukalla in Hadhramawt, la regione orientale di Mahra, l’isola di Socotra, hub petroliferi e gasiferi come Bir ‘Ali e Ash e Balhaf, conseguendo in tal modo una significativa proiezione di potenza marittima sia sul Mar Rosso, sia sullo stretto di Bāb al-Mandabel, che sul Corno d’Africa, sul Golfo di Aden e sull’Oceano Indiano.

In terzo luogo, allo scopo di capire in modo più chiaro le ragioni del conflitto in Yemen, dobbiamo considerare il ruolo chiave svolto dall’Iran in funzione anti-emiratina.

La prima ragione del contrasto tra Iran e EAU è legata al controllo di tre isole del Golfo e cioè Abu Musa e le due Tunb, che ora sono sotto il controllo iraniano.

La seconda ragione del conflitto tra Iran ed Emirati consiste nell’impedire che l’Iran possa attuare una proiezione di potenza nel Golfo a danno degli Emirati. Proprio per questo gli EAU sostennero Saddam Hussein contro l’Iran durante la guerra del 1980-88.

La terza ragione di contrasto è relativa al programma nucleare iraniano: gli EAU furono fra i principali protagonisti della politica anti-iraniana attuando anche pressioni sugli Stati Uniti per isolare e punire l’Iran. Infatti il ruolo degli Emirati, come quello dei sauditi, è fondamentale nel condizionare le scelte di politica estera americana in Medio Oriente.

La quarta ragione di conflitto è legata all’opposizione degli EAU al regime di Damasco in Siria, accusato di essere sponsorizzato dall’Iran.

La quinta ragione di conflitto è relativo al sostegno che il Qatar diede ai gruppi terroristi con il contributo dell’Iran.

Infine la sesta ragione è legata proprio alla questione dello Yemen. Infatti, secondo gli EAU, le milizie sciite Houti sono uno strumento iraniano in funzione anti-saudita e anti-emiratina.

Inoltre un altro elemento di permanente instabilità è determinato dalla presenza di al Qaeda – che in Yemen viene denominata Aqap – che controlla alcuni territori del sud dello Yemen attraverso azioni di guerriglia e di terrorismo rivolte contro il presidente Abdel Rabbo Hadi sostenuto da paesi arabi e dall’Occidente sia contro i ribelli yemeniti di origine sciita.