L’Asia è sempre più vicina a una escalation pericolosa per tutto il mondo. Sull’Himalaya si riapre lo scontro armato tra Cina e India per una zona contesa sin dagli anni 50 con diverse vittime, per la prima volta dal 1975, tra i soldati dei due eserciti. Intanto i cannoni di Pyongyang hanno demolito il (simbolico) palazzo del dialogo inaugurato nel 2018, nel momento di massima vicinanza fra i due paesi, in quella che si è poi rivelata una sorta di guerra dei palloncini e dei volantini. L’ufficio, infatti, è stato fatto esplodere dopo che Kim Jong Un aveva già minacciato di volerlo fare come rappresaglia per l’incapacità di Seul a impedire a disertori della Corea del Nord di far volare palloncini di propaganda oltre il confine. A sua volta, la Corea del Nord dopo il bombardamento ha lanciato migliaia di volantini di propaganda rivoluzionaria. “L’escalation che si vista negli ultimi giorni – spiega Francesco Sisci, già inviato de La Stampa a Pechino e poi editorialista de Il Sole 24 Ore – dovrebbe far parte del gioco della sorella di Kim che, come già detto in passato, sta consolidando sempre di più il suo potere personale. Già nei giorni scorsi Kim Yo Yong, sorella del leader di Pyongyang e tra i suoi principali consiglieri, aveva pensato a un piano per distruggere “l’inutile ufficio di collegamento tra Nord e Sud (nella città nordcoreana di Kaesong, vicino al confine), che presto potrebbe finire in macerie”, l’unico metodo per consentire ai due paesi di comunicare.
Partiamo dagli scontri Cina-India. Ieri venti soldati indiani sono morti in seguito a “confronto violento” con le forze cinesi avvenuto lungo il confine conteso nella regione himalayana del Ladakh. La tensione fra i due giganti asiatici è alta e dura da diverse settimane: potrebbe degenerare in una grave crisi internazionale?
Cina e India contano quasi 3 miliardi di persone, il 40% circa della popolazione del pianeta. Entrambe sono dotate di armi atomiche ed entrambe hanno un’opinione pubblica interna altamente volatile. È quindi estremamente delicato quello che sta avvenendo sull’Himalaya. Ieri in uno scontro, pare principalmente a colpi di bastone e pietre, sono rimasti uccisi 20 soldati indiani, tra cui un colonnello. È lo scontro più sanguinoso tra i due paesi dal 1975, quando in Cina regnava ancora Mao Zedong e l’India era alla guida dei paesi non allineati nella Guerra fredda di allora. Oggi lo scontro arriva mentre si sta accelerando una guerra fredda tra Cina e Stati Uniti e New Delhi è legata a un’alleanza di intelligence e militare insieme a Giappone, Vietnam, Australia con alle spalle gli Usa. In questo contesto venti morti indiani possono diventare una buccia di banana. Certo, già sono in corso colloqui per far rientrare la tensione, ma l’impressione che molti rischiano di avere è di una Cina aggressiva, che molto più ricca dell’India approfitta della sua forza contro il vicino. Non è buona stampa per Pechino. Dietro l’episodio di ieri c’è senza dubbio un problema oggettivo.
Quale?
Negli ultimi mesi gli indiani hanno scoperto che in una zona contesa i cinesi hanno fortificato istallando delle infrastrutture. Quindi oggi in quel settore i cinesi hanno maggiori capacità logistiche rispetto agli indiani per sostenere le truppe di frontiera, mentre quelle indiane sono molto più isolate. Nel 2017 ci fu una fase di tensione durata circa tre mesi nel Doklam, al confine con il Bhutan, e anche lì il problema per gli indiani era la costruzione di una strada per migliorare le capacità logistiche cinesi.
Ci sono possibilità di risolvere questa contesa dei confini che dura dagli anni 50?
È un problema che resta aperto e che mette l’India in una situazione di debolezza. I cinesi, temendo un aumento generale della tensione, vogliono prepararsi con posizioni difendibili. C’è un contrasto di fondo che non sembra oggi risolto né risolvibile nel breve periodo. Secondo gli indiani queste fortificazioni cinesi violano la minima intesa che si era raggiunta: lasciare questa zona contesa terra di nessuno. I cinesi temono invece che l’India, forte delle sue alleanze internazionali, possa voler compiere un attacco e si prepara a respingerlo. Tutto questo è anche una spina nei rapporti multilaterali: indiani e vari non amici della Cina possono vedere in questo episodio la riprova dell’imperialismo cinese.
Intanto Pyongyang ha fatto saltare in aria l’unico strumento che consentiva alle due Coree di comunicare e che quando fu aperto nel 2018 sembrò di grande auspicio. Che cosa sta succedendo?
L’escalation di questi ultimi giorni è stata guidata dalla sorella di Kim, la quale è stata definita dal quotidiano del partito il “cuore del partito”. Una definizione importante, una promozione formale.
È stata lei a decidere di bombardare l’edificio? Una decisione di grande responsabilità che poteva avere conseguenze gravi, non crede?
Kim Yo Jong sembra stia prendendo il potere. Dato che la Corea del Nord deve gran parte della sua esistenza alla Cina, forse la giovane Kim vuole provare di essere indipendente e che non si piegherà alla Corea del Sud.
Quanto è grave ciò che è accaduto ieri?
Sicuramente meno di quello che è successo tra Cina e India. Qui siamo davanti a un gioco delle parti. Una volta che la giovane Kim avrà preso più saldamente in mano il potere, tutto potrebbe calmarsi, però potrebbero volerci settimane o mesi.
Quindi, come aveva detto lei in precedenza, Kim Jong Un sta lasciando davvero il potere? Non è più in grado di gestirlo?
Noi abbiamo detto che Kim è clinicamente morto, non abbiamo nessuna notizia ufficiale, è apparso tre volte in più di tre mesi in circostanze forse opinabili, e vediamo che la sorella sta prendendo più poteri. Osservando da fuori sembra ci sia una sorta di successione in atto, e che stia andando a buon fine.
Gli Usa sembrano astenersi da quello che succede in Corea. Come mai?
Forse gli Usa ritengono anche loro che sia una tempesta in un bicchiere d’acqua piuttosto che una vera crisi. Dopo aver dato sufficienti dimostrazioni di forza Pyongyang potrebbe far rientrare tutto quanto. La crisi, oggi comunque grave, viene da un paese che per quanto pericoloso ha solo 22 milioni di abitanti, un’inezia rispetto a Cina e India.