Mentre arrivano le ultime notizie sui morti a Gaza per gli attacchi di Israele, arrivati a oltre 2.800, con 10.850 feriti stando a quanto riferito dal ministro della Sanità di Hamas nella Striscia, suonano di nuovo le sirene di allarme a Tel Aviv e nell’area centrale israeliana. Per Yoav Gallant, ministro della Difesa israeliano, «ci aspetta una lunga guerra». Lo ha detto incontrando Antony Blinken, segretario di Stato Usa. «Il prezzo sarà alto, ma vinceremo per Israele, per il popolo ebraico e per i valori in cui credono entrambi i Paesi», ha aggiunto, come riportato dal Guardian. Invece, Blinken, in un breve commento ai media, ha ribadito che Israele può contare sempre sul sostegno degli Stati Uniti.



Infatti, nelle ultime ore il Wall Street Journal, citando funzionari della Difesa Usa, ha scritto che l’esercito americano ha selezionato 2mila militari per un eventuale dispiegamento di forze a sostegno di Israele nella guerra contro Hamas. Le truppe non dovrebbero avere ruoli attivi di combattimento, ma compiti di consulenza e supporto medico. Attualmente i militari sono di stanza in Medio Oriente ed Europa. Non è chiaro, comunque, in quali circostanze gli Stati Uniti potrebbero schierare tali truppe e dove, ma queste voci confermano il sostegno americano a Israele, qualora lanciasse un’incursione di terra a Gaza. (agg. di Silvana Palazzo)



L’ALLEANZA IRAN-HEZBOLLAH-HAMAS CONTRO ISRAELE: IL NUOVO FRONTE DI GUERRA?

Guerra tra Israele e Hamas, ma non solo: continuano infatti i colpi al confine con Hezbollah in Libano, con l’importante però presa di distanza del Governo di Beirut dalle azioni del gruppo sciita finanziato da Iran e Siria. Mentre poi si odono le sirene d’allarme a Gerusalemme e Tel Aviv, il timore internazionale è sempre legato al destino della Striscia di Gaza, con l’emergenza umanitaria ormai giunta alle estreme conseguenze secondo gli ultimi appelli disperate delle agenzie ONU a Gaza City. «Trionferemo perché ne va della nostra stessa esistenza in questa regione, che è piena di forze oscure»: lo ha detto il premier Benyamin Netayahu dopo nuovi colloqui con il segretario di Stato Usa Blinken, scongiurando però l’inizio dell’invasione nelle prossime ore. «Hamas – ha continuato il Premier israeliano – fa parte dell’asse malvagio formato da Iran e Hezbollah. Mirano a gettare il Medio Oriente in un abisso di caos. Ci sono molte domande sul disastro che ci ha travolto dieci giorni fa. Investigheremo – ha concluso – ogni aspetto».



Nel frattempo il rappresentante di Hamas in Libano, Ahmed Abdul-Hadi, ha detto che Iran e Hezbollah non permetteranno a Israele di «schiacciare Gaza o di lanciare un attacco di terra», ma che i gruppi hanno deliberatamente lasciato ambiguità su quando e come risponderanno perché «questo dipende dagli sviluppi della situazione in quel momento». In caso di attacco di terra, indipendentemente dal suo livello o se sempre più massacri continueranno a essere commessi a Gaza. Hamas annuncia “possibili sorprese”. Capire cosa sia non è troppo difficile da intuire, visti gli interventi successivi ai colloqui a Doha tra Iran e Hamas: si teme un’alleanza forte anche sul campo militare tra Hamas, Hezbollah e Teheran. Ancora il rappresentante di Hamas in Libano in un’intervista rilasciata a Beirut, dichiara che in caso di invasione di terra di Gaza da parte delle forze israeliane «i gruppi alleati di Hamas interverranno», ovvero appunto Iran e Hezbollah. Il ministero degli Esteri iraniano ha dichiarato che Hamas è pronto a rilasciare i circa 200 ostaggi che detiene «a patto che Israele interrompa la sua campagna di attacchi aerei sulla Striscia di Gaza». I funzionari di Hamas infatti hanno dichiarato «di essere pronti a prendere le misure necessarie per rilasciare i cittadini e i civili detenuti dai gruppi resistenti, ma hanno sottolineato che tali misure richiedono preparativi impossibili sotto i bombardamenti quotidiani dei sionisti contro varie parti di Gaza», ha concluso il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanaani, In un colloquio telefonico oggi con il presidente russo Vladimir Putin, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha avvertito che «l’assedio in corso, l’uccisione di donne e bambini e l’attacco di terra alla Striscia di Gaza porteranno a una lunga guerra su diversi fronti». Nota non da poco, mercoledì prossimo è previsto l’incontro a Pechino tra il Presidente della Russia Vladimir Putin e l’omologo della Cina, Xi Jinping: sul tavolo, oltre agli scambi geopolitici ed economici delle due superpotenze, proprio la discussione sulla crisi in Medio Oriente dopo che nella giornata di oggi il Cremlino ha sentito in un giro di colloqui telefonici le cancellerie di diversi Stati mediorientali. Nelle prossime ore sono invece previsti contatti e colloqui con con il premier israeliano Benyamin Netanyahu e con il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), conferma il consigliere per la politica estera, Yuri Ushakov, citato da Interfax.

LE ULTIME NOTIZIE SULLA GUERRA TRA ISRAELE E HAMAS: “NESSUN CESSATE IL FUOCO SU GAZA”

La guerra tra Israele e Hamas perdura ormai da più di una settimana e la conta dei morti cresce purtroppo giorno dopo giorno: oltre 1.400 le vittime israeliane dopo gli attacchi islamisti filo-palestinesi, sono invece 2.700 i morti a Gaza per i raid di Tel Aviv. «Non c’è per il momento un cessate il fuoco né l’ingresso a Gaza di aiuti umanitari in cambio della fuoriuscita di cittadini stranieri»: lo ha reso noto l’ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu, commentando le ultime notizie sull’apertura del valico di Rafah fra Egitto e la Striscia di Gaza.

Addentrandosi nelle pieghe della guerra Israele-Hamas sono continuati per tutta la notte i raid su Hamas in risposte ai razzi lanciati dalla Striscia, mentre prosegue il tentativo internazionale di trattative per liberare i 199 ostaggi in mano ai palestinesi e soprattutto per evitare l’invasione di terra dell’esercito israeliano, da giorni ormai dato come “imminente”. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken è tornato oggi in Israele, come previsto, per colloqui sulla crisi mentre dal fronte Palestina il leader Abu Mazen ha lanciato un “minimo” spiraglio di apertura verso una tregua, sottolineando come le scelte e gli attacchi di Hamas «non rappresentano il popolo palestinese». L’emergenza umanitaria su Gaza resta però drammatica con le agenzie dell’ONU che rilanciano ancora stamane come «non ci sono abbastanza sacchi per i morti a Gaza».

VALICO RIAPERTO VERSO L’EGITTO: BIDEN “STRIGLIA” ISRAELE

Mentre la guerra tra Israele e Hamas prosegue purtroppo in un lungo percorso verso l’abisso umanitario e geopolitico, stamane è stato raggiunto l’accordo tra Egitto, comunità internazionale e Israele per la riapertura del valico di Rafah tra la Striscia di Gaza e l’Egitto: al momento sono in corso i preparativi logistici per introdurre a Gaza aiuti umanitari e per consentire l’uscita di cittadini stranieri e di palestinesi con doppia nazionalità. Restano i problemi per la cittadinanza palestinese di Gaza City con acqua, cibo ed elettricità che continuano a scarseggiare ma che potrebbero trovare sollievo proprio con la riapertura del valico egiziano.

«Israele deve rispondere. Deve attaccare Hamas che è un gruppo di codardi che si nascondo tra i civili», ha detto intanto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden in una intervista a 60 Minutes della Cbs, strigliando però subito dopo lo stesso Governo israeliano: «è necessaria un’autorità palestinese. E’ necessario che ci sia un percorso verso uno Stato palestinese». Biden ha poi aggiunto come Israele stia giustamente dando la caccia a chi ha commesso una barbarie «tanto grave quanto l’Olocausto. E quindi penso che Israele debba rispondere», di contro però si sta trattando con tutti gli attori del Medio Oriente per evitare l’occupazione e l’invasione completa di Gaza. Spostando verso il confine Nord di Israele, dopo gli scontri degli ultimi giorni (ieri colpita anche la base Unifil con militari italiani per un razzo di Hezbollah), il Governo Netanyahu ha deciso lo sgombero dei civili sul confine col Libano: ieri le autorità militari hanno vietato l’ingresso in una fascia della profondità di quattro chilometri lungo l’intero confine libanese.