L’incredibile narrazione che l’Iran sta facendo passare vorrebbe rubricare la bomba che ha portato alla morte di Ismail Haniyeh, leader di Hamas (che dormiva nella periferia di Teheran in un compound ritenuto sicuro dai guardiani della rivoluzione), come un affronto e un diretto attacco alla propria sovranità territoriale. Una posizione prevedibile, visto che Teheran è abituata a combattere Israele a casa sua, attraverso le milizie filoislamiche addestrate, indottrinate ed armate sparse in tutta l’area mediorientale, e a non ricevere in cambio (al contrario di Israele) nessun missile, nessun attacco di droni, nessun colpo di cannone in casa propria.



La realtà è che, dopo quell’eliminazione mirata, è evidente l’imbarazzo della leadership iraniana: Haniyeh, oltre ad essere l’alleato principe dell’Iran in Hamas, era anche amico personale di Khamenei, la guida suprema, che ha giurato una vendetta eclatante. Mentre Hossein Taeb, funzionario delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane, ha detto che “lo scenario di vendetta di Teheran è imprevedibile e i sionisti non ne hanno idea”, e che “l’egemonia degli Stati Uniti giungerà al termine, con l’imminente annientamento di Israele”. Troppe dichiarazioni di fuoco per confidare, adesso, in una retromarcia, com’è stato ribadito anche al ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi, che ieri ha incontrato a Teheran – in una visita definita “storica”, la prima dopo vent’anni –  il ministro degli Esteri iraniano ad interim Ali Bagheri Kani. S’è trattato di uno dei tanti tentativi di vari Paesi (perfino gli Usa) di non far detonare quella che potrebbe diventare una gigantesca guerra regionale, se non peggio.



Ma se la filoccidentale Giordania cerca di gettare acqua sull’incendio, Mosca (storicamente alleata di Iran e Siria) si muove in direzione opposta: sempre ieri a Teheran è arrivato anche il segretario del Consiglio di sicurezza nazionale russo Sergej Shoigu, ex ministro della Difesa, per incontrare il presidente Masud Pezeshkian e il capo di stato maggiore delle forze armate, Mohammad Bagheri. Mentre sembra che La Russia abbia già iniziato a dotare l’Iran di nuove armi: sistemi avanzati di guerra elettronica, compresi quelli che possono invalidare i sistemi militari a una distanza di 5mila chilometri, trasportati in ponte aereo dai giganteschi Ilyushin, insieme a munizioni e Iskander, i missili balistici già testati in Ucraina.



Lo scenario, insomma, è davvero incerto e pericoloso, mentre è iniziato il fuggi fuggi dal Libano, il nuovo fronte, e Israele che resta col fiato sospeso, e con tutti i sistemi di difesa pronti a contrastare qualsiasi attacco. Ma Israele è sempre stato un Paese convinto che non vi sia miglior difesa di un attacco. E quindi si sta facendo largo l’ipotesi di un’operazione preventiva, prima dell’eventuale offensiva iraniana, che tutti danno come imminente.

Secondo il Times di Tel Aviv, l’idea sarebbe emersa durante il vertice tra i capi della sicurezza israeliana convocato da Benjamin Netanyahu, con il ministro della Difesa Yoav Gallant, il capo di Stato maggiore dell’esercito Herzi Halevi, il capo del Mossad David Barnea e il capo dello Shin Bet Ronen Bar. Una soluzione forse tatticamente proficua, ma strategicamente devastante: darebbe certamente il via ad un’estensione e un’intensificazione del conflitto, che potrebbe portare al coinvolgimento diretto dei rispettivi, potenti alleati. Un’escalation della quale si saprebbe l’inizio, ma che nessuno potrebbe prevedere l’evoluzione e la fine.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI