Alla fine dello scorso aprile è stato pubblicato l’annuale studio dello Stockholm Global military spending surges amid war, rising tensions and insecurity sulla spesa mondiale nell’ambito militare. Nel 2023 la spesa globale totale è ammontata a 2.443 miliardi di dollari, in aumento rispetto al 2022 del 6,8%, l’incremento annuo più forte dal 2009. Per la prima volta dopo quest’anno, la spesa globale è aumentata in tutte le cinque regioni geografiche nelle quali è diviso lo studio. Un’ulteriore prova di come ci si stia preparando alla possibile ricompattazione dell’attuale frammentata guerra mondiale.



Come nel 2022, in testa alla classifica per spesa vi sono Stati Uniti, Cina e Russia, con rispettivamente il 37,5%, il 12,1% e il 4,5%, pari in totale al 54% della spesa globale, contro il 57% del 2022. L’incremento più forte è dato dalla Russia, con circa il 24%, seguita dalla Cina con il 6%, mentre gli Usa si sono limitati al 2,3%, comunque di molto superiore allo 0,7% del 2022 rispetto al 2021. Il 55% della spesa militare mondiale è effettuato dalla Nato e di questa il 68% è attribuibile agli Stati Uniti.



L’Italia (35,5 miliardi, 12esima nella lista), con -5,9%, è tra i non molti Paesi che hanno ridotto la spesa rispetto al 2022 e in Europa è accompagnata solo da Grecia (-17%) e Romania (-4,7%). Sull’altro versante vi sono i consistenti aumenti di Polonia (+75%), Finlandia (54%) e Danimarca (39%): chiara conseguenza dell’attacco della Russia all’Ucraina. Quest’ultima (ottava nella lista) ha aumentato la spesa del 51%, raggiungendo 64,8 miliardi di dollari, pari al 59% della spesa stimata per la Russia. Come sottolinea SIPRI, a questa spesa, che rappresenta il 58% della spesa governativa, bisogna aggiungere altri 35 miliardi di aiuti esterni.



Se la minaccia costituita dalla Russia è alla base degli incrementi di spesa europei, l’espansionismo cinese ha portato ad analoghe reazioni in Asia, con il Giappone e Taiwan che hanno aumentato la propria spesa dell’11%; il primo con 50,2 miliardi di dollari si situa al decimo posto nella classifica. L’India conferma il suo status di potenza regionale in ascesa situandosi al quarto posto, con una spesa di 83,6 miliardi, pari al 3,4% della spesa mondiale, con un incremento del 4,2% sul 2022.

Nel tormentato Medio Oriente domina l’Arabia Saudita che si situa al quinto posto nella scala mondiale, con una spesa stimata a 75,8 miliardi di dollari, cioè più del doppio dell’Italia, con un incremento del 4,3% sul 2022; peraltro, è uno dei pochi Stati che ha diminuito la spesa rispetto al 2014 (-18%). Israele, con i suoi 27,5 miliardi si pone al quindicesimo posto, ma ha aumentato del 24% la spesa rispetto all’anno precedente. La Turchia ha l’esercito più numeroso nella Nato dopo gli Stati Uniti, ma conquista solo il 22esimo posto nella classifica, con una spesa di 15,8 miliardi, pur con un aumento del 37% sul 2022. Più indietro l’Iran, al 26esimo posto con i suoi 10,3 miliardi.

L’aumento maggiore nella spesa si è verificato per l’Algeria, che con il suo 76% ha superato il 75% della già citata Polonia, il 54% della Finlandia e il 51% dell’Ucraina. Dal lato delle riduzioni di spesa, troviamo in testa la Grecia con il 17% in meno, seguita dal Pakistan con il 13%, l’Indonesia con il 7,4% e la Thailandia con il 6,5%.

La classifica dei primi dieci è completata da Regno Unito e Germania, al sesto e settimo posto, e dalla Francia al nono, rispettivamente con il 3,1%, 2,7% e 2,5% della spesa mondiale, con l’Italia all’1,5%.

Infine, può essere interessante considerare le stime dell’impatto sul Pil dei vari Paesi. A parte l’Ucraina, che svetta con il suo 37%, a fronte però di un 3% del 2014, anno di inizio della guerra, troviamo in prima fila l’Algeria, con l’8,2%, seguita dall’Arabia Saudita con il 7,1%, dalla Russia con il 5,9%, da Israele con il 5,3%, e dalla Polonia con il 3,8%. La media su tutti gli Stati considerati è del 2,3%, superata anche dagli Stati Uniti con il 3,4% e dall’India con il 2,4%. Il Regno Unito si attesta al 2,3%, mentre Francia, Italia e Germania quotano rispettivamente 2,1%, 1,6% e 1,5%.

Come ogni statistica, anche questa rischia di essere ridotta a una sterile serie di numeri, ma a mio parere dà un’ulteriore conferma della presenza di numerosi focolai di “infezione” verso i quali, pur con modalità differenti, i vari Stati cercano di preparare una difesa. Sarebbe tranquillizzante avere dati anche su quanto gli stessi Stati stanno facendo per evitare di dover usare gli armamenti per i quali sono disposti a spendere così generosamente.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI