È sempre nei classici che bisogna ricercare la verità. E tanto sono negletti dai più, tanto più sono veritieri, soprattutto in un mondo ormai senza filosofia. Per questo val oggi la pena di rileggere il grande classico del mio vecchio sodale “antipodale” Paul Dibb, Siberia and the Pacific. A study of Economic Development and Trade Prospects (Praeger Publisher, New York-Washington-London, 1972). In quell’opera seminale ben si dimostrava che il futuro del mondo sarebbe stato deciso dalla lotta per il dominio egemonico e deterrente, insieme, delle risorse e dei traffici tanto dei mari dell’Indo-Pacifico quanto dell’Artico.
Sia la Siberia, sia i mari del Rimland – i mari che circondano l’Heartland quando le sue terre finiscono – sarebbero state le poste in gioco decisive. Di esse il grande Nicholas John Spykman, morente, aveva fatto in tempo a sottolineare la crescente importanza, soprattutto dopo ciò che, sul finire del 1944, già si intravveda dell’esito della terribile guerra del Pacifico. Tanto la sconfitta Usa in Vietnam, quanto la visita di Kissinger e Nixon a Pechino avrebbero, anni dopo, dato ragione a quella tesi – che oggi ritorna e si conferma, nella dimenticanza strategica e nel disarmo intellettuale dominante -, con il riarmo atomico del Giappone, che finalmente avviene grazie alla salita al potere di Shigeru Ishiba, seguace di quell’Abe al quale questo convincimento è costata la vita, assassinato come fu da un fanatico tradizionalista.
Vengo al dunque: per dire che la contesa tragica israelo-iraniana che si svolge sotto i nostri occhi altro non è che il preludio per il vero game per il dominio del mondo. Il genocidio di Hamas fu indotto dalla Cina e dall’Iran dopo l’errore compiuto da quel funesto G20 a New Delhi nel 2023 (9-10 settembre, ndr) che pubblicizzò quella “Strategia del cotone” in funzione anti-Via della seta che avrebbe dovuto avere nel porto israeliano di Haifa il suo cuore pulsante, per così dare il colpo fatale (pensate alla follia obamiana: doveva essere un “colpo” economico, non militare) alla Cina, alla Russia e all’Iran. Il tutto dopo ch’era stato firmato il benefico Patto d’ Abramo che veniva, però, cosi criminalmente declassato…
Ebbene, quel Patto e quella strategia avveduta, ma priva di sostegno militare, è stata sventata e schiacciata dal nazionalismo fondamentalista antisemita che ha compiuto l’orribile genocidio mirato del 7 ottobre 2023. Anche allora, come nei primordi della Prima guerra mondiale (allora l’agente fu il nazionalismo terrorista serbo), il fanatismo nazionalista è stata la scintilla che ha sfidato quell’insieme di potenze che si apprestavano a garantire l’equilibrio dell’area in funzione anti-cinese e anti-iraniana (e di conseguenza anti-Russia putiniana). Allora un attentato scatenò la Prima guerra mondiale, ora una guerra asimmetrica di inaudita capacità di proliferazione si è scatenata: dopo la Shoah, il processo ad Eichmann e la fine della sua eco e grazie all’azione di un fondamentalismo antisemita con salde radici statuali e di nuovo a larga diffusione ideologica in tutto il mondo. Per ragioni che non posso evocare qui, esso è solo all’inizio.
Non è un caso, allora, che le grandi manovre – artiche e non – di costruzione di un fronte anti-Usa e anti-Israele inizino a posizionarsi mentre Israele si appresta a muovere all’attacco dell’Iran per ridurne definitivamente, con un cambio di regime, le prospettive di ampliamento distruttivo di potenza. Un ampliamento e prolungamento a cui l’aveva avviato il deliro di ignoranza e di viltà proprio dell’obamismo un tempo dilagante nel campo ordoliberista-democratico Usa e internazionale-Ue in primis, rischiando di sgretolare così la stessa dignità ontologica dell’anglosfera. Processo a cui, però, il Regno Unito ha reagito con una forza benefica che ricorda i tempi churchilliani!
Ebbene, non è un caso che in questi tempi, e in questo agone pericolante, russi e cinesi abbiano iniziato manovre congiunte nei mari artici, allargando di fatto l’arena del conflitto. E queste manovre sono possibili solo perché i russi, disperati ma decisi a combattere sempre, sono disposti a condividere con uno storico “nemico quasi amico” come la Cina lo sfruttamento della Siberia e dell’Artico insieme, aprendo di fatto un nuovo fronte del conflitto. Quindi, i fronti si ampliano e la guerra sta veramente divenendo mondiale e post-nucleare.
Basti pensare al Myanmar, su cui spesso attiro inutilmente l’attenzione: lì, ai confini della Cina, una guerra civile e inter-etnica continua da vent’anni e più, con una dignitosa figura Premio Nobel della pace che continua a languire nelle carceri militari. Nelle piazze di tutto il mondo si inneggia – sub specie palestinesi – agli assassini islamici fondamentalisti (gli stessi che offrivano spettacoli di decapitazioni di massa a un mondo stordito e vigliaccamente inerme) e non si ha contezza di ciò che sta potentemente lievitando malignamente. Prodigi narcotizzanti della geopolitica…
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