Lanci di missili tra le due Coree; attacco con camion-bomba al ponte di Kerch, che collega Russia e Crimea, e controffensiva di Kiev in Ucraina per riconquistare territori con un’avanzata che potrebbe spingere la Russia a usare armi nucleari tattiche; focolai di guerra un po’ ovunque; tensione latente ma pericolosamente pronta ad accendersi su Taiwan fra Usa e Cina; Occidente sempre più chiuso in se stesso e insidiato, in campo geopolitico e finanziario, da altre potenze; egemonia americana sotto pressione, ma alla quale gli Stati Uniti non intendono affatto rinunciare, anzi, dichiarandosi minacciosamente pronti a usare ogni mezzo pur di riaffermarla.
Il cruscotto della sicurezza internazionale è costellato di spie rosse, non più accese a intermittenza, ma con pericolosa continuità. Eppure la sensazione è che, al di là di allarmi generali, politica e mezzi di informazione sembrano “tacere” o cercare di normalizzare una situazione devastante. È davvero così? Il mondo sta giocando con i fili dell’alta tensione con troppa facilità? A quali reali e drammatiche conseguenze stiamo andando incontro? E quanto ne siamo consapevoli? Ne abbiamo parlato con Toni Capuozzo, inviato di guerra ed esperto di geopolitica.
Come nella crisi economica, in cui siamo davanti ad una situazione devastante, anche in politica estera assistiamo a rivolgimenti e accelerazioni che stanno cambiando il quadro mondiale?
Sicuramente. È finito, dopo un processo iniziato una ventina di anni fa, l’ordine mondiale scaturito dalla Seconda guerra mondiale, il cui giro di boa decisivo è stato il crollo dell’Unione Sovietica. Da allora gli Stati Uniti si sono ritrovati a essere l’unica superpotenza e hanno cercato di plasmare il mondo come ritenevano loro più opportuno. Dall’11 settembre in poi si sono dovuti scontrare con un fenomeno magmatico come il fondamentalismo jihadista, ma appena quel fronte ha accennato a spegnersi, con la fine dello Stato islamico, gli Usa – che hanno una storia che li porta sempre ad aver bisogno di un nemico con cui misurarsi – hanno puntato il dito contro la Cina. È quel che sta ininterrottamente avvenendo dalla presidenza Obama.
A Samarcanda si è svolto il vertice dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (Sco), fondata nel 2001 da 6 Paesi e che oggi ne accoglie 26 tra membri, in via di adesione, osservatori e partner del dialogo. La drammatica guerra in Ucraina è la linea di scontro di un conflitto che non si esaurisce sul campo bellico, ma si allarga ad un confronto geopolitico e finanziario più ampio, in cui a essere contestato è l’unipolarismo americano?
Siamo di fronte a un mondo in cui gli Usa cercano di riaffermare la loro posizione egemonica assieme ai loro alleati, la Nato in Europa – anche se ha operato in Afghanistan – e l’alleanza con Australia, Nuova Zelanda e Giappone nello scacchiere oceanico. Dall’altra parte abbiamo, appunto, la Sco, che è un modello multipolare, dietro al quale sta la Cina. Ma è una Cina che sta dicendo: non cerchiamo guerre, continueremo comunque a tallonare Taiwan, ma senza al momento invaderla.
Però nel Far East tra il regime di Kim Jong-un e l’alleanza Usa- Sud Corea-Giappone è in atto un braccio di ferro a colpi di missili balistici lanciati in quell’area da entrambe le parti. Era mai successo? Si sta scherzando col fuoco? E la Nord Corea, alle cui spalle non bisogna mai dimenticare che c’è la Cina, può diventare una miccia altamente esplosiva nell’area dell’Estremo Oriente?
In quell’area ci sono evidentemente tensioni e contraddizioni irrisolte, ma proprio come è successo tra Armenia e Azerbaijan o nei Balcani, quando il professore è impegnato in un’altra classe, ogni indisciplinato si sente autorizzato a fare un po’ di casino. Il conflitto in Ucraina sta in questo momento distraendo i titolari della sicurezza mondiale.
In Ucraina è davvero alle porte un’escalation nucleare?
Il fatto stesso che la si evochi e se ne parli è senza precedenti. Durante la Guerra fredda, specie negli anni 50 e 60, c’era il cosiddetto equilibrio del terrore, che comunque non aveva nulla di terrificante, perché era un mondo in cui si confrontavano due superpotenze, Washington e Mosca, che condividevano una razionalità del buon senso: se uno premeva il bottone dell’atomica, sapeva benissimo che anche l’altro avrebbe fatto lo stesso e che si sarebbero distrutti a vicenda. Quindi nessuno dei due arrivava fino a quel punto.
Oggi invece siamo forse davanti a una soglia di pericolo mai raggiunta negli ultimi 50 anni?
Oggi siamo costretti a chiederci: Putin è lucido? È pronto ad accettare una sconfitta e a farsi da parte oppure, se messo contro un muro, potrebbe usare le armi tattiche nucleari?
Secondo te?
È sempre un azzardo fare previsioni, ma credo che non si arriverà all’uso delle armi nucleari. Forse proprio – e mi costa dirlo, perché non sono un suo estimatore – per merito della Cina, che anche a Samarcanda ha tenuto un po’ la Russia sotto scacco. Quando Putin ha dichiarato che comprendeva le preoccupazioni di Pechino, ha praticamente ammesso che queste preoccupazioni gli erano state comunicate. Ma più che di allontanamento di Pechino da Mosca, parlerei di un rapporto di subordinazione.
Perché?
L’Europa per Pechino è un mercato importante e la Cina è l’unico Paese che ha sempre guadagnato in questi decenni di globalizzazione. Non ha quindi alcuna intenzione di vedersi rompere il giocattolo del commercio mondiale con questa guerra. Putin deve stare nei limiti di un percorso per la Cina accettabile, evitando una deflagrazione globale o un lungo conflitto in Europa.
Ma quella in Ucraina non si sta trasformando in una guerra di logoramento?
Le ultime notizie fanno trapelare che la Russia potrebbe far ricorso a un’arma poco conosciuta, ma che comunque rappresenta un’escalation del conflitto. Si chiama Peresvet, è un sistema laser che acceca i satelliti. Essendo di fronte a una partita a scacchi, Putin con furbizia, accecando i satelliti Usa, quindi senza colpirli in modo sanguinoso, potrebbe svelare al mondo una cosa che già sappiamo, e cioè che gli Stati Uniti sono ingaggiati attivamente in questa guerra, anche se la loro attività sul terreno non appare poi così manifestamente.
L’obiettivo?
Far vedere a tutti che gli Stati Uniti sono parte del problema, non la soluzione del problema.
A tal proposito, quanto pesa il fattore destabilizzante e distruttivo della politica americana, dall’Ucraina all’Estremo Oriente, caso Taiwan in testa?
Oggi chi sta imponendo una visione conflittuale allo scenario internazionale sono proprio gli Stati Uniti e quindi questo fattore pesa molto. Anche perché non è del tutto innocente.
In che senso?
Gli Usa non hanno mai amato l’idea di un’Europa che sia un interlocutore alla pari, concorrenziale economicamente e autorevole politicamente. Basti pensare alla Brexit: Washington non si è stracciata le vesti quando la Ue ha perso un pezzo importante. Un’Europa depressa oggi non dispiace del tutto al nostro grande alleato atlantico.
Ma non è una strategia alla lunga fragile e deleteria in un contesto globale in cui l’Occidente dovrà sempre più fare i conti con altre potenze mondiali?
Senza dubbio. E per capire questa strategia bisogna riandare alla vittoria di Trump, quando abbiamo assistito a uno scontro interno agli Usa molto aspro, come ha dimostrato l’occupazione del Campidoglio a Washington. I democratici di oggi hanno provato il sapore amaro della sconfitta e temono di perdere ancora, non solo alle elezioni di mid-term, ma anche al voto del 2024, e quindi devono farsi vedere forti, esibire un polso d’acciaio, dimostrarsi tanto più duri e decisi quanto più incerta appare la figura di Biden. Noi oggi scontiamo questo scontro violento, che mai si era visto, fra Democratici e Repubblicani: la politica estera Usa è molto rivolta all’interno dell’America. E la gravità dell’attuale guerra in Ucraina è segnata dal fatto che non sono possibili passi indietro.
Da parte di chi?
Degli Usa, della Russia e tanto meno dell’Ucraina. E quando non ci si possono permettere dei passi indietro, si va avanti per forza di inerzia.
Che contezza ha di questa situazione la politica estera italiana?
Basta vedere come si è svolta la campagna elettorale. Si è discusso di tutto tranne che dell’Ucraina. Tutt’al più ci si contende il ruolo di alleati più disciplinati di Washington.
Si dice che l’Italia non sappia più svolgere il suo ruolo storico di mediatore. Anzi, qualcuno arriva a sostenere che da tempo l’Italia non abbia più una sua politica estera, soprattutto nel Mediterraneo. È così?
Chi lo afferma ha perfettamente ragione.
Che cosa rischiamo?
Di essere dei meri esecutori di decisioni prese da altri. Ed è quello che già siamo. Del resto, siamo uno dei pochi Paesi che ha sul suo territorio armi atomiche, ma non ha le chiavi dell’armadietto in cui sono chiuse. Quanto al Mediterraneo, l’assenza di una nostra politica estera si traduce nel privare questo scacchiere di un Paese che ha sempre avuto un suo peso nelle mediazioni.
E rispetto alla guerra in Ucraina?
Se l’Italia non avesse inviato armi, pur dichiarandosi solidale con Kiev, credo che saremmo stati utili anche all’Ucraina. Se si decidesse a mediare, a chi potrebbe rivolgersi Zelensky? Oggi c’è solo Erdogan, ma non mi pare il miglior interprete di questa diplomazia.
Della drammatica situazione e della sua possibile evoluzione ancor più drammatica quanta consapevolezza hanno gli italiani? Ci siamo davvero abituati a tutto?
Mi sembra che qui si confermi il classico distacco fra Paese reale e Paese legale. In Italia c’è una maggioranza che per le più svariate ragioni è contro la guerra, si domanda chi ce lo fa fare di soffrire per una regione, il Donbass, che neanche sapevamo esistesse. Perciò gli italiani si trovano imbarcati in un’avventura su cui non hanno esercitato ed esercitano alcun controllo. Siamo entrati in uno schieramento belligerante con prospettive molto incerte. E soprattutto: dov’è il tavolo dei negoziati?
Che ruolo gioca l’informazione-spettacolo, l’infodemia, che poco aiuta a comprendere i reali problemi e la posta in gioco?
È uno spettacolo mortificante. Questa guerra finora è stata raccontata in modo modesto. Fermo restando che l’aggressione è stata iniziata dalla Russia con una evidente violazione del diritto internazionale, come sempre bisogna poi cercare di capire il perché e il come tutto ciò sia potuto succedere, ben sapendo che le sofferenze vengono patite da una parte e dall’altra. Invece c’è stata un’intensità di propaganda che non vedevamo dalla Seconda guerra mondiale, quando in Italia c’era un regime.
(Marco Biscella)
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