In genere, durante le guerre, la controffensive si fanno, si realizzano nel limite del possibile, ma non si annunciano, almeno per un elementare fatto di sorpresa militare.

Da circa due mesi, o forse più, si sente parlare di una controffensiva ucraina che ieri è stata confermata anche da Zelensky. Effettivamente, tra le centinaia di documenti e comunicati, contraddittori e inevitabilmente propagandistici, ne sono arrivati alcuni che delineano una parziale riconquista di città, purtroppo ormai rase al suolo, o di zone e di territori dove gli ucraini hanno riconquistato pochi chilometri di terreno.



Ma lo sfondo appare sempre lo stesso, in modo tragicamente implacabile: tutte le regioni, le zone che sono o erano filorusse, gran parte dell’Ucraina orientale, le città di confine sono ormai un deserto di macerie e assomigliano a un crudele cimitero a cielo aperto.

Tralasciando i precedenti, che pure hanno una certa importanza, forse in alcuni casi determinante, l’invasione russa parte il 24 febbraio 2022. Dovrebbe essere, nelle intenzioni di Vladimir Putin, quasi un’operazione militare di pochi giorni per arrivare al più presto a Kiev e insediarvi un nuovo governo al posto di quello di Volodymyr Zelensky. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. L’invasione russa si è trasformata in una guerra tragica che ha già procurato centinaia di migliaia di morti da una parte e dall’altra, oltre ovviamente alla distruzione di una parte dell’Ucraina.



Di fronte a questo dramma che avviene nel cuore dell’Europa c’è ormai un oggettivo salto all’indietro rispetto al passato: si tratta di quello che ha trasformato la Guerra fredda dell’ultimo dopoguerra fino alla caduta del Muro di Berlino, in una guerra “non più fredda” e con contorni di contrasti sempre più profondi. Con il rischio infine di sconvolgere definitivamente gli equilibri geopolitici nel mondo. In più c’è una sinistra ombra sullo sfondo: l’incubo di un incidente che possa trascinare tutti in una guerra mondiale.

Se si mettono in fila le sole notizie che si ascoltano per radio o per televisione o si raccolgono sui giornali, si resta allibiti di fronte a una simile situazione. Passiamone alcune in rassegna.



Mark Milley, Capo dello Stato maggiore congiunto degli Usa, ha ammesso che ci troviamo ormai in un mondo multipolare perché le superpotenze sono tre: Stati Uniti, Russia e Cina, e che tre superpotenze sono difficili da gestire.

Il ragionamento di Milley corrisponde a quello fatto da alcuni esperti di geopolitica europea, che piuttosto di parlare di controffensiva ucraina temono una lunga, lunghissima durata del conflitto, con conseguenze che non sono solo quello dello scontro bellico convenzionale ma che provocano anche dei contraccolpi preoccupanti, sia per l’economia sia per la tenuta democratica di molti Stati, sia per rapporti tra molti Stati un tempo alleati.

I riflessi dei crescenti contrasti sono già arrivati in molti Paesi, come sta accadendo (addirittura, è il caso di dirlo) tra Stati Uniti e Arabia Saudita sul costo del petrolio e sui rapporti consolidati, di diverso tipo, che ci sono sempre stati.

Nello stesso tempo arrivano le dichiarazioni di Joseph Borrell (rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la sicurezza), che teme le sanzioni contro Paesi terzi possano avvicinarli alla Russia. Ad esse si aggiunge l’Economist, che esorta l’Occidente ad essere più risoluto nella sua scommessa sulla controffensiva, perché “le prossime settimane determineranno il futuro non solo dell’Ucraina, ma dell’intero sistema di sicurezza in Europa”.

Ci vorrebbe Sun Tzu per comprendere questa sfilza di notizie contraddittorie. Si aggiunga poi a tutto questo la rete di dichiarazione a ruota libera, a partire da Mario Draghi che parla al Mit di Boston e sostiene: “Non c’è alternativa per gli Stati Uniti. l’Europa e i loro alleati, se non garantire che l’Ucraina vinca questa guerra. O per l’Unione Europea sarà la fine”. A Draghi si aggiunge George Soros: “Ci vuole la distruzione del ponte di Crimea dopo la controffensiva ucraina. Ora l’obiettivo dovrebbe essere la penisola di Crimea, la base della marina russa”.

Si resta effettivamente disarmati, allibiti, di fronte a una totale mancanza di qualsiasi strategia diplomatica, che non voglia essere affatto in contrasto con il sostegno all’Ucraina. Ma in realtà quello che ci si chiede è questo: c’è veramente qualcuno che pensa a una realistica trattativa diplomatica?

L’impressione è piuttosto pessimistica. La Russia fa le sue invasioni e pensa ai suoi rafforzamenti militari problematici. Intanto la Cina costringe gli Stati Uniti a tenere alta l’attenzione sull’area del Pacifico: non si creda che Ucraina e Taiwan non ricorrano su tutto il quadro internazionale.

Ora, a volte, sembra che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna abbiano ormai identificato l’Unione Europea con la Nato. Consigliano però, al momento, all’Ucraina di entrare solo nell’Ue, ma non nella Nato. Il motivo? Se l’Ucraina entrasse nella Nato, nello stato di guerra in cui si trova, farebbe scattare l’articolo 5 e quindi una guerra coinvolgerebbe tutti i Paesi della Nato. Il rischio di un conflitto mondiale, magari con qualche bomba atomica, non si potrebbe realisticamente escludere,

Ma allora a che cosa pensano gli Stati Uniti? A nostro parere, con una certa sicumera, a una difficile “guerra di logoramento”. Alla fine si confiderebbe da parte occidentale che, in qualche maniera, la Russia crollerebbe. Troppa sicurezza.

Ma anche se questo fosse vero, realizzabile, quanto tempo dovrebbe passare e quanti morti dovremmo contare alla fine? Vale proprio la pena di scegliere una simile strategia oppure sarebbe più saggio affidarsi a una mossa diplomatica, magari spregiudicata, che porterebbe a un cessate il fuco e poi magari facesse vincere la pace? In genere è questo che nei secoli è spesso capitato nei conflitti.

Il cosiddetto logoramento, a nostro avviso, è un azzardo che l’attuale situazione mondiale, lo stesso mondo democratico non potrebbe sopportare a lungo.

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