La recente intervista del Sussidiario al colonnello Vincenzo Giallongo si chiude con questa affermazione: “…questa Russia non può schiacciare l’Ucraina”. È un’affermazione del tutto realistica, almeno fintanto che Stati Uniti e loro alleati sosterranno attivamente il governo ucraino. Tuttavia, è altrettanto improbabile che sia l’Ucraina a sconfiggere la Russia, malgrado le gravi deficienze nella sua preparazione militare evidenziate da Giallongo. Segue la previsione che questa sciagurata guerra continui ancora per un paio di anni, superando così un decennio dall’inizio della guerra nel Donbass.
C’è però anche chi, come il generale Marco Bertolini, ipotizza una guerra decisamente più lunga, evocando il ricordo dell’Afghanistan. L’intervento sovietico a sostegno del governo comunista contro gli insorti islamisti durò quasi dieci anni, dal dicembre 1979 all’aprile del 1989, quando fu completato il ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan. La sconfitta in Afghanistan è considerata una concausa del disfacimento, dopo qualche anno, del regime sovietico.
Ben più lunga la guerra contro l’Afghanistan degli Stati Uniti, anzi della Nato, visto che è l’unico caso in cui finora è stato utilizzato l’articolo 5 del Trattato, che prevede l’intervento armato dell’Alleanza in difesa dello Stato membro attaccato. Iniziata nel 2001, questa avventura è terminata dopo vent’anni, nel 2021, con il ritiro delle truppe americane e Nato, lasciando il Paese nelle mani dei talebani. Una sconfitta che ha determinato una perdita di credibilità degli Stati Uniti, probabilmente uno dei fattori alla base del disallineamento di molti Paesi dalla posizione occidentale nei confronti della guerra in Ucraina.
Con queste premesse sembrerebbe logico un atteggiamento attivo degli Stati Uniti per giungere al più presto almeno a un cessate il fuoco, per poi avviare trattative di pace che si presentano comunque molto difficili. Invece, pare che chi detiene il potere reale a Washington pensi di continuare questa guerra con l’obiettivo di indebolire pesantemente, se non addirittura disfare, la Federazione Russa. In effetti, i costi di questa guerra sono sofferti soprattutto dalla Ucraina e dalla Russia stessa, con in secondo piano le crisi indotte in numerosi altri Stati europei. Gli Stati Uniti rimangono, per il momento, meno direttamente colpiti e possono pensare di riacquistare così il ruolo, recentemente un po’ offuscato, di principali difensori della democrazia e della libertà.
Siamo di fronte a un rischio molto grave e forse non ben calcolato. Vi è un’alta probabilità che un’implosione della Federazione Russa porti a una serie di conflitti al suo interno, con gravi ripercussioni sugli Stati limitrofi, né potrebbe essere esclusa l’espansione della crisi a livello globale. Inoltre, il collasso dell’attuale regime, autoritario quanto si vuole ma pur a suo modo responsabile, aumenterebbe anche la possibilità di un incosciente ricorso ad armi nucleari.
L’alternativa è costituita dalla caduta di Vladimir Putin, ma la domanda è: chi ne prenderebbe il posto? Senza dubbio, è difficile pensare all’installazione di un governo comparabile a una democrazia occidentale, e si può sperare che a Washington abbiano capito che la democrazia non si può imporre con la forza. Vi è il rischio che a Putin succeda qualcuno più estremista e c’è da sperare che i deprecabili oligarchi, così rilevanti nel sistema di potere russo (peraltro come in quello ucraino), seguendo i propri interessi favoriscano la successione di qualcuno più moderato. In un certo senso, un ritorno a quella “democratura” con cui veniva designato un tempo il governo di Putin.
Rimane il fatto che per ogni governo russo alternativo a quello attuale resterà il problema di come aderire a una pace che non sia sentita dal popolo russo come una sconfitta tale da rendere del tutto vani i sacrifici imposti da questa guerra. L’avventata decisione di Putin, e della Duma, di proclamare l’annessione di Crimea e, soprattutto, del Donbass rende comunque molto problematico risolvere la questione dei territori contesi senza produrre consistenti ferite non solo agli interessi, ma anche all’orgoglio nazionale dei due contendenti. Un orgoglio molto alto in entrambi i popoli.
L’impressione è che a Washington non si sia tenuto conto di questo fatto, e che si continui a non tenerne conto, ma sarebbe bene ricordare ciò che avvenne con la Germania di Weimar. E allora le bombe atomiche non c’erano.
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