La guerra in Ucraina sembra aver fatto ripiombare il mondo ai tempi della guerra fredda quando le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, si fronteggiavano. Allora lo scontro era totale e spaziava dall’ideologia all’economia arrivando a contrapporre due concezioni dell’umanità. Due visioni del mondo incompatibili e inconciliabili, perfino la sfera spirituale era terreno di scontro.
Il conflitto era al centro del mondo, tutti i Paesi erano chiamati a schierarsi. l’Europa che aveva partorito la Seconda guerra mondiale era di nuovo la posta in gioco. Nessun spazio di manovra: i non allineati allora nella periferia del sistema erano un tentativo di giocare fuori campo; appena le guerre avevano un significato, rientravano nel grande gioco della Guerra fredda. Fu così per l’Indocina, la Corea, il Vietnam, ma esemplare fu la trasformazione del conflitto arabo-israeliano, con la scelta di campo sovietica di schierarsi a fianco dei regimi arabi con la guerra dei Sei giorni del ’67.
Adesso tutto è diverso. Il mondo è uno, non esiste più il Terzo mondo, i Paesi in via di sviluppo un ricordo. Su un punto, non sulla fine della storia, aveva ragione Fukuyama: non esistono sistemi alternativi al capitalismo. Cina, India, Brasile, le ex tigri asiatiche, Turchia, anche la Russia sono entrati a pieno titolo nel mondo, in quel primo mondo di una volta. Con una postilla pesante: a modo loro. Perché le regole del gioco di quel mondo sono rimaste quelle di una volta, le hanno scritte i vincitori della guerra fredda.
Consiglio di sicurezza dell’Onu, evoluzione del diritto internazionale compreso il diritto di ingerenza umanitario, concezione della sicurezza, istituzioni economiche internazionali, tutto porta il segno dell’eredità della Seconda guerra mondiale passando per la guerra fredda.
Ma adesso il mondo si è allargato, il vestito si è fatto stretto. Così, dietro – ma meglio sarebbe dire accanto – alla guerra in Ucraina, il resto del globo si muove. E come esempio lampante subito si pensa alla Cina, alle sue mani che si allungano fino al Sudamerica passando per l’Africa.
Ed ecco che un’altra volta cadiamo nell’errore di interpretare il presente con gli occhi del passato, un gioco a due attori e a somma zero. Da una parte l’Occidente con a capo gli Stati Uniti e i suoi alleati dietro in fila indiana, dall’Europa al Giappone, dall’altra la Cina, alleata di un’indebolita Russia e tutti gli altri, a partire dall’Iran teocratico. Buoni contro cattivi, democrazie contro totalitarismi.
Non è così, per tre motivi fondamentali. Il primo. Quei paesi, Cina in testa, non hanno nessun modello alternativo istituzionale né culturale: il mondo è unico anche per loro. Secondo, il mondo è più grande della Cina, degli Stati Uniti e della sfera di alleanze americane. Quello che gli altri Paesi non allineati vogliono – terzo motivo – è ridiscutere i principi, le regole della cooperazione economica e della convivenza tra gli Stati, cioè le questioni della sicurezza. E queste spinte al cambiamento dell’ordine internazionale e verso una revisione del suo funzionamento avvengono perché quel sistema unipolare, con al centro gli Stati Uniti che vige dal crollo del muro di Berlino, non regge più.
Se usiamo questo schema, diventano più chiare le mosse dei diversi Stati che si muovono su più scacchieri. Erdogan che cerca un ruolo di potenza regionale, invia droni in Ucraina e media con la Russia, dice no alla Svezia, mentre è nella Nato ma non boicotta la Russia con in mano le carte della Siria, dei giacimenti nell’Egeo, della Libia, del controllo dei flussi di profughi e allo stesso tempo supporta l’Azerbaijan nel conflitto contro l’Armenia, amica della Russia.
Il Sudafrica alleato degli Stati Uniti, neutrale nel conflitto ucraino, che annuncia manovre navali militari congiunte, soprannominate “Ex Mosi”, con Russia e Cina per il prossimo mese, al largo delle sue coste. Ma allo stesso tempo ha sistemi militari integrati con la Nato e conduce esercitazioni navali in comune, “Exercise Good Hope”, con la Germania e “Exercise Oxide” con la Francia.
L’India, la più grande democrazia del mondo nell’Asia continentale, che fa parte del Quad, il Dialogo Quadrilaterale di Sicurezza tra Australia, Giappone, Stati Uniti e appunto Delhi con lo scopo manifesto di contenere l’espansionismo cinese, ma che ha sostituito l’Europa nell’acquisto di gas dalla Russia. Oppure si pensi all’Arabia dove regnano i sauditi, un tempo fedeli alleati degli Stati Uniti, che si sono rifiutati di aumentare la produzione di greggio dopo l’invasione dell’Ucraina e all’inizio di dicembre dello scorso anno hanno ricevuto in pompa magna Xi Jinping, principale cliente del petrolio, 81 milioni di tonnellate annue, prodotto da Riyadh.
Il processo di disallineamento che abbiamo appena accennato sta avvenendo nel settore della sicurezza, si sta riproponendo anche nel campo finanziario e bancario dove Cina, Russia, Paesi produttori e consumatori di petrolio, cercano di affermare valute diverse dal dollaro come moneta di scambio (ma su questo servirebbe un altro articolo).
La conclusione è chiara. I diversi Stati revisionisti sono un insieme eterogeneo, alcuni pur facendo parte anche della stessa coalizione come quella dei Brics. Anche con interessi in conflitto – India verso Cina, Iran contro Arabia – uniti solo dall’obiettivo fondamentale di erodere l’egemonia occidentale con la sua pretesa di rappresentare i principi dell’ordine internazionale.
È con questo sfondo che la guerra in Ucraina va letta. Due scenari appaiono sconvolgenti e terribili, con una portata inimmaginabile. Fino ad ora la guerra si è sostanzialmente svolta in guerra di attrito stile prima guerra mondiale, adesso il rischio è che davanti ad un’offensiva russa che gli analisti sembrano paventare, a partire dalla Cia, le linee di difese ucraine si rompano, come avvenne a Caporetto. Dietro Bakhmut c’è la steppa, sconfinata, fino a Kiev. Da qui la richiesta dei Leopard, di sistemi antimissile, di artiglieria pesante, in pratica un nuovo esercito da creare. Se il fronte si rompesse, se Kiev fosse battuta sul campo dopo gli aiuti militari degli alleati occidentali, sarebbe una sconfitta per Washington e Bruxelles. Se al contrario, la Russia subisse uno shock brutale, magari con la perdita della Crimea, davanti si aprirebbero scenari terribili, quello di una Russia Stato fallito e magari orientato ad usare anche le armi nucleari. Forse, se mettiamo assieme i tasselli, capiamo meglio il rifiuto tedesco a fornire i Leopard, per altro in numero insufficiente e forse dal valore simbolico.
In entrambi gli scenari, ancora una volta un cambiamento dell’ordine internazionale necessario e inevitabile sarebbe raggiunto grazie ad una catastrofe prodotta da una leadership mondiale cieca e inadeguata.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.