La guerra in Ucraina è destinata a disegnare un ordine mondiale diverso da quello di pochi anni fa. L’attuale conflitto si distingue infatti per caratteristiche assolutamente nuove, innanzitutto perché coinvolge nel cuore di Europa due Paesi di cui uno, l’aggressore, dotato di armi nucleari, e poi, fatto ancora più notevole, perché dietro l’Ucraina e la Russia si muovono, in veste di alleati o sponsor, le altre due potenze nucleari, Stati Uniti e Cina. Superpotenze in gara per il governo mondiale che a loro volta si portano dietro una scia di Paesi alleati, amici o non ostili, tessere che completano il mosaico globale, riverberando il conflitto ad ogni angolo del pianeta. Partita complessa, difficile perché nuova e giocata da più attori, protagonisti e comprimari alla ricerca magari di un proprio maggiore spazio approfittando dalla distrazione del tutore o dell’avversario, su più aree geografiche, su piani diversi, da quello economico a quello strategico, dalla sfida tecnologica alla sicurezza. In un nuovo gioco di cui incerte sono le regole.
E infatti i molteplici eventi di questi giorni sono a dimostrazione dello stato dei tempi, in fermento frenetico, fatti dotati di più significati, ufficiali e nascosti.
All’ombra ancora dell’oscura marcia sulla “terza Roma” di Prigozhin, la visita del segretario al Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen a Pechino per provare a gestire la competizione a tutto campo con la Cina, compreso il difficile nodo di Taiwan, senza però rompere la rete di relazioni economico-finanziarie e scientifiche che ormai legano in modo indissolubile Washington e tutto il mondo occidentale all’Impero di Mezzo. E quindi non più l’impossibile decoupling, lo sganciamento totale dell’economia americana da quella cinese, la “fabbrica del mondo”, ma la “diversificazione”, come ben messo in risalto da Cingolani su questa testata nell’articolo di sabato sul Sussidiario.
E di questi giorni è il tour di Zelensky nelle capitali dei Paesi Nato più vicine geograficamente all’Ucraina, culminato ad Ankara, dove è riuscito ad ottenere da Erdogan, a dimostrazione della forza e dell’indipendenza del sultano, tre successi notevoli. La liberazione dei cinque comandanti del battaglione Azov presi prigionieri dai russi nella battaglia alle acciaierie Azvostal a Mariupol, parole favorevoli su di un eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato e l’accordo per mantenere e proteggere da parte turca il corridoio navale per il transito del grano attraverso il mar Nero verso il Mediterraneo. Benevolenza da parte di Erdogan, partner ambiguo e difficile dell’Alleanza Atlantica, a pochi giorni dal vertice di Vilnius dove si discuterà del suo futuro alla luce delle grandi trasformazioni che sta attraversando il Patto Atlantico, si veda il sempre più discusso impegno fuori aerea e per motivi che travalicano gli originari fini istituzionali originari.
Per la pericolosità della mossa merita però un’attenzione particolare la decisione, definita da Biden “molto difficile”, di dare il via libera alla fornitura delle famigerate bombe a grappolo all’Ucraina. Mossa dalle forti implicazioni e destinata a creare malumori tra gli alleati, perché tutti i paesi della Nato, esclusi gli Stati Uniti, hanno aderito alla Convenzione, entrata in vigore nel 2010, che mette al bando le bombe cluster. Un via libera dell’amministrazione americana deciso per sopperire alla cronica mancanza di munizioni da parte occidentale che segna una caratteristica di questa guerra, il consumo enorme di proiettili, missili, droni e quant’altro, fatto che ci dice qualcosa sullo stato della guerra moderna, e sulle capacità di farvi fronte in termini di scorte e produzione da parte di Washington e dei suoi alleati.
Il 42esimo pacchetto di aiuti per 800 milioni di dollari segna così una ulteriore escalation nel conflitto in corso ed assume un particolare rilievo perché ignora e sfida le minacce di Mosca. Quello in corso infatti è il primo scontro post guerra fredda tra due potenze nucleari in grado di disporre del famigerato “secondo colpo”, capaci cioè di rispondere ad una attacco nucleare dell’avversario, ed è un banco di prova per le due superpotenze del funzionamento della deterrenza, concetto ambiguo dalle fortissime connotazioni psicologiche. Ogni attore è alla ricerca di una strategia efficace per manipolare l’incertezza a proprio favore mentre cerca una strada per gestire il contesto. Da una parte cioè un contendente cerca di aumentare la percezione del rischio nell’avversario alzando la posta in gioco, minacciando ritorsioni, mentre allo stesso tempo tira la corda delle proprie azioni, varcando continuamente le linee rosse dettate dall’avversario, perché ritenute non credibili, stando attento però di non varcare il limite, che non è dichiarato preventivamente, ma che comunque esiste. Ed ecco il continuo gioco di minacce e rassicurazioni, si veda ad esempio la dichiarazione di estraneità immediata da parte di Washington alle mosse golpiste di Prigozhin.
La partita che stanno giocando Mosca e Washington è estremamente complessa e rischiosa perché il gioco è nuovo, le mosse avvengono mentre gli attori stanno definendo le regole del gioco, altri protagonisti provano a forzare la mano e l’arbitro non c’è o forse è nascosto. In un futuro nemmeno troppo lontano, al campionato delle superpotenze nucleari si iscriverà anche la Cina, speriamo non alleata in modo formale alla Russia.
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