Siamo arrivati alla fine del 2022, quasi un anno è passato dall’inizio della guerra in Ucraina. Ed è tempo di bilanci.
È stato un anno terribile per l’Europa intesa in tutte le sue componenti, insieme di istituzioni e popoli. Per la seconda volta dalla fine del secondo conflitto, una guerra è scoppiata nel cuore del vecchio continente. Dopo le guerre nell’ex Jugoslavia, ecco l’Ucraina. Ma questa volta è diverso. Questa volta non siamo davanti alla disgregazione di una nazione, ma all’aggressione di un Paese da parte di un altro Stato, da parte di quella che una volta era uno dei due attori principali delle Guerra fredda, e ancora è uno degli Stati più potenti del mondo per le sue risorse energetiche e per la dotazione di un arsenale nucleare impressionante. “Mai più guerre in Europa”, un tabù partorito dopo secoli di massacri, dopo i cinquanta e passa milioni di morti della seconda guerra, è stato violato.
Guerra in quelle disgraziate “terre di mezzo” che segnano il confine culturale politico e geografico tra Grande Occidente e Russia, da sempre aree catalizzatrici di tensioni micidiali. Le colpe dell’Unione Europea sono così gravi da minare la ragion d’essere dell’istituzione, con l’aggravante che questa non era la prima volta. Con l’aggravante che a mancare in questa occasione sono stati proprio gli Stati che avrebbero dovuto essere leader, come la Germania, che d’altronde continua a giocare da sola. Unione Europea senza idee, senza politica estera, senza forze armate, che non ha preso nessuna iniziativa autonoma a proposito di cosa fare di quell’Est ex sovietico, di come trattare la Russia a partire da quel fatidico 1989. Con un’unica ideuzza, la speranza che l’economia supplisse alla politica. Non ottimismo della volontà, ma cieca fiducia nell’homo economicus, proiezione postmoderna della propria stanca opulenza senza futuro e forse degli storici sensi di colpa. Europa che si è dimenticata che le guerre si fanno anche per la sicurezza, per il prestigio, per affermare la propria identità. Europa che non sa cosa significhi vivere accanto ad un impero.
Il fatto è che con la fine della politica economica tedesca, con il crollo dell’apertura ad est, a saltare per aria è l’intero funzionamento dell’Unione, che improvvisamente si trova orfana e costretta a operare una torsione contro natura, a sbilanciarsi paurosamente verso est, verso i nuovi arrivati, Stati non certo fondatori, capitali che guardano a Washington o Londra, saltando il cuore del continente, degli Stati che hanno creato l’Europa. Perché il vuoto di Bruxelles è di fatto stato sostituito da una Nato che ha ritrovato una sua ragion d’essere a trazione certo americana, ma con delega per l’Europa a Gran Bretagna e Polonia, seguite dai Paesi scandinavi e baltici.
Tutto questo mentre vediamo una serie di mosse e contromosse. Zelensky volare a Washington e tornare con un cospicuo assegno e i missili Patriot, Putin andare dal suo più fidato alleato, il bielorusso Aleksandr Lukashenko, Dmitry Medvedev incontrare il presidente cinese Xi Jinping. Mosse e contromosse avvolte in un alone di parole, tra possibili piani di pace ucraini, a febbraio però, e dichiarazioni sull’inevitabilità alla trattativa da parte di Putin condite da minacce esplicite di escalation nucleare.
Sul campo intanto la guerra continua, perché nonostante quello che i media dicono, l’inverno, il gelo, per l’esercito russo è la stagione per antonomasia della guerra. Una volta finita la stagione del fango, del disgelo delle piogge autunnali, ecco finalmente il grande freddo che congela la terra, rende la campagna una tavola più dura del cemento dove si possono muovere con facilità carri armati, trattori, autoblindo. L’inverno è la fine della rasputitsa, il tempo senza strade perché la pianura diventa una distesa infinita di fango. Adesso per i russi è arrivata la stagione migliore. È stato così nell’inverno del 1812 contro Napoleone a Mosca. La storia si è ripetuta nel dicembre del 1941, quando le divisioni venute dalla Siberia salvarono Mosca, e a Stalingrado, quando nel novembre del 1942 chiusero in una morsa la VI armata di Hitler. E in questa guerra maledetta a febbraio Putin ha invaso l’Ucraina.
Adesso la guerra è combattuta su due arene separate. Sul campo, ad est e a nord est, e nell’aria, dove si affrontano i sistemi antiaerei ucraini e i missili e droni russi che colpiscono senza pietà le infrastrutture energetiche del Paese, ad una media di 75 missili ad ogni incursione. In aggiunta il fronte nord, dove Mosca ammassa truppe in Bielorussia non si sa se per compiere una manovra diversiva e far distogliere truppe ucraine dal fronte meridionale, oppure con intenzioni più serie.
Guerra che ogni giorno che passa si rivela essere sempre di più una guerra d’attrito dove si scontrano forze completamente asimmetriche. La Russia profonda, lenta, inefficiente, anche arretrata, dotata di risorse enormi, che combatte in modo “vecchio”, con la cassa piena di soldi del gas e del petrolio grazie ai prezzi andati alle stelle, ma senza pezzi di ricambio, senza microchips, che si sente isolata, accerchiata, che rivive l’epopea della Grande guerra patriottica, contro i “fascisti” ucraini sostenuti dal corrotto Occidente; e l’Ucraina, stato ormai ridotto a pura volontà, che combatte contro il secolare odiato nemico, sostenuto dai soldi, dalla armi sofisticate mandate da Washington e dagli altri Paesi Nato, in testa Regno Unito e Polonia. Paesi Nato che dal 2015 addestrano decine di migliaia di soldati di Kiev a ritmi impressionanti (prima operazione Orbitae e adesso Interflex). Guerra complicata: scontro diretto russo-ucraino, guerra economico-finanziaria tra Russia e Occidente, guerra mondiale per le risorse, per le catene di approvvigionamento e di produzione, guerra non dichiarata per i sistemi di pagamento. Guerra per procura da parte degli americani che perseguono in modo lineare obiettivi diretti diversi. L’erosione dell’esercito russo per lo meno da un decennio, il declino dell’economia di Mosca, la delegittimazione interna del regime, l’erosione della posizione internazionale dell’ex Urss, separando definitivamente la Russia dall’Europa e consegnando alla Cina un alleato sfinito. Washington che intanto incassa l’allargamento della Nato a Svezia e Finlandia, avverando gli incubi russi. Calcoli rischiosi, forse addirittura azzardati, quando uno degli “addendi” è un Paese con gli arsenali pieni di bombe nucleari.
Difficile dire come andrà a finire. Nessun contendente può e vuole cedere, a meno di crolli improvvisi di uno dei due combattenti, ma in troppi hanno ancora assi nella manica non giocati.
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