“Dal punto di vista militare non vedo soluzioni a breve, ma una guerra infinita che, se non si farà qualcosa per un negoziato, andrà avanti per anni se non per lustri o decenni, come in Afghanistan”. Marco Bertolini, generale già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore in numerosi teatri di guerra, vede ancora nero nel futuro dell’Ucraina: niente può far pensare a una fine del conflitto in atto con i russi. Il recente attacco alla base russa di Makiivka con la morte di numerosi soldati e le avvisaglie della controffensiva in grande stile che Putin starebbe preparando, vanno nella direzione di una intensificazione del conflitto. Insomma, parlano solo le armi.
“La pace va ricercata sempre – dice Bertolini – ma Zelensky vuole una resa, che si torni ai confini del 1991, cosa che la Russia non accetterà mai. La Russia da parte sua vuole mantenere i territori occupati. Difficile trovare un compromesso, bisognerebbe entrare nell’idea di un ridimensionamento dei propri obiettivi. Se poi la prospettiva dell’Europa è solo quella di soffiare sul fuoco, di evocare una nuova Norimberga in cui vengano giudicati gli sconfitti, la pace si allontana”.
Un quadro che viene confermato anche dagli ultimi eventi che hanno caratterizzato il teatro dei combattimenti.
Generale, non si è ancora spento l’eco dell’attacco degli ucraini alla base russa di Makiivka. Dobbiamo aspettarci una reazione dei russi come quella per l’affondamento della Moskva e dopo il colpo inferto al ponte in Crimea?
Intanto l’evento andrebbe contestualizzato meglio. Gli ucraini parlano di 400 morti, i russi di 43. In quella struttura orientativamente dovrebbe esserci una compagnia, quindi 150-200 uomini, 400 morti mi sembrano tanti. In secondo luogo dopo che a Zelensky era scappato che gli ucraini hanno 500 perdite al giorno, ultimamente stanno dicendo che i russi hanno 300-400 morti al giorno. Sicuramente è stata una perdita notevole che ha causato molte polemiche in Russia, che però non sono polemiche contro la guerra ma contro la condotta della guerra. La popolazione continua a sostenere le ragioni del conflitto e critica Putin perché è troppo arrendevole nei confronti dei militari.
Ritiene che Makiivka possa innescare una crisi morale?
È possibile, perché è una perdita grossa, ha impatto sulle famiglie, ma la gente è ancora con Putin, non c’è da aspettarsi che si ribelli alla guerra. La risposta dei russi all’attacco comunque c’è già stata: nella zona di Bakhmut hanno colpito un albergo che serviva per l’alloggiamento dei militari ucraini, provocando molte perdite. La realtà è che la guerra sta diventando l’unico modo in cui russi e ucraini si stanno confrontando. Questo è un male. E nessuno fa niente per fermarli.
Si sente parlare sempre di più di questa controffensiva che i russi stanno preparando, non si sa se per la primavera o per quando. Quanto è imminente la risposta di Putin e come ce la dobbiamo aspettare?
Il capo di Stato maggiore ucraino Zaloujny ha reso dichiarazioni che sono abbastanza in controtendenza rispetto a quelle di Zelensky, confermando la necessità di andare avanti, però dicendo anche che la mobilitazione russa sta funzionando e sta creando nuove risorse, nuove unità operative. Chi sottovaluta la forza dei russi sbaglia – ha aggiunto –, c’è uno zar che comanda e gli altri obbediscono; non c’è una crisi morale, che può innescare una crisi disciplinare o di ordine pubblico. Zaloujny dice che si aspetta una controffensiva, che potrebbe svilupparsi a marzo ma anche prima, addirittura a gennaio. Poi su queste cose incidono molti elementi.
Ad esempio?
Anche le condizioni meteorologiche. Determinare una tempistica è molto difficile. Sicuramente qualcosa succederà e purtroppo succederà sul campo. Grandi spazi per il negoziato non se ne vedono. I russi avrebbero interesse a negoziare, lo hanno detto più volte, tuttavia gli eventi di cui parlavamo all’inizio provocano una reazione nella parte più radicale dell’opinione pubblica, quella più favorevole alla guerra, ed erodono alla base la possibilità che si arrivi a un accomodamento. Per i russi arrivarci senza avere una presa sicura sugli obiettivi individuati all’inizio dell’operazione è visto come impossibile.
I russi hanno dimostrato dalla Cecenia in poi che dal punto di vista miliare sono pronti alla distruzione totale di un Paese. C’è da aspettarsi anche questo?
L’Ucraina, come la Georgia, è un obiettivo di carattere vitale per la Russia: Mosca teme che con la perdita dell’Ucraina la sua stessa sicurezza sia messa in pericolo. Se ne parla anche da noi quando si vedono cartine fantasiose ma non troppo in cui si prefigura una spartizione della Russia. La Russia teme questa prospettiva e quindi crede di combattere, a ragione o a torto, per la propria sopravvivenza. E quando si combatte per la propria sopravvivenza si combatte fino all’ultimo, non si guarda alle perdite, da una parte e dall’altra. Questa “operazione speciale”, che almeno all’inizio non voleva essere una guerra, in realtà è un guerra fra Russia e Stati Uniti, alla quale si aggiunge una guerra civile: perché in Ucraina c’è una parte di popolazione che è russa, così come ci sono ungheresi, polacchi; è una realtà abbastanza composita. La contrapposizione Russia-Ucraina sollecita le divisioni. Adesso le divisioni vengono un po’ messe in sordina dalla guerra, ma non possiamo dimenticare che Zelensky ha messo fuori legge il secondo partito ucraino dopo il suo, ha preso delle misure draconiane, direi assolutamente illiberali nei confronti della Chiesa ortodossa, al punto da festeggiare il Natale il 25 dicembre e non il 6 gennaio.
Un altro elemento che contribuisce a complicare la situazione è quello delle manovre di addestramento degli Usa e della Nato nei Paesi vicini all’Ucraina: possono rappresentare un pericolo per un eventuale allargamento del conflitto?
È uno schieramento di truppe che serve a dimostrare la presenza della Nato, ormai estesa a tutta Europa, escluse Russia, Bielorussia e Ucraina, anche come forza di deterrenza. Le manovre militari non sono mai un fatto solo tecnico, ma hanno una valenza politica. Mettere militari di tutti i Paesi della Nato, e ce ne sono anche di italiani, in aree prossime allo scenario di guerra ha una finalità essenzialmente politica. Qui americani e inglesi sono impegnati più di altri, dal punto di vista degli armamenti ma anche dell’addestramento. Paesi come l’Italia, fortunatamente, hanno un approccio meno diretto.
In questi ultimi giorni i russi hanno ripreso i loro rapporti con la Cina: quale ruolo può avere in questo scenario questo Paese?
La Cina è un elemento fondamentale, anche se non vuole essere immischiata in una guerra combattuta in Europa: il benessere dell’Europa per Pechino è importante, alla Via della Seta non serve un’Europa impoverita. Dunque la Cina rappresenta un supporto per la Russia anche se fa attenzione a non farsi coinvolgere più di tanto nel conflitto. E poi c’è l’alleanza della Russia con i Paesi non Nato, la Cina, di cui ho detto, ma anche l’India. E così il quadro si complica.
Che cosa intende dire?
Siamo di fronte ad uno scenario nuovo. La stessa India è ormai una superpotenza dal punto di vista intellettuale e scientifico. Altro Paese importante è l’Iran, e non è un caso che i disordini si stiano verificando proprio adesso. Gli ayatollah ci sono da tempo e lo stesso vale per il velo, no? È una grande area in subbuglio, compresa la Georgia e il Caucaso con lo scontro tra azeri e armeni. E non bisogna dimenticare il Kosovo, che può essere collegato a quello che succede in Ucraina per motivi di carattere culturale e religioso.
(Paolo Rossetti)
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