È stata l’unica volta che ho visto piangere mio padre. Eravamo andati al cinema a vedere il film Tutti a casa con Alberto Sordi. Papà aveva vissuto la stessa drammatica esperienza da giovane ufficiale, l’8 settembre del ’43.
Adesso l’ordine è stato dato, in tutt’altro contesto, dal governo americano ai propri connazionali residenti nella Federazione Russa. La notizia è stata data anche sui nostri media, ma forse non tutti ne hanno valutato l’importanza, forse sarebbe meglio dire la gravità. Chiunque conosce minimamente come opera la diplomazia sa bene che questa decisione, molte volte, è presa prima di una dichiarazione di guerra. Si vuole evitare così che i propri connazionali restino prigionieri-ostaggi nelle mani del nemico. È quello che successe all’inizio della seconda guerra mondiale a molti cittadini statunitensi e inglesi nel Pacifico occupato dai giapponesi.
La segnalazione di navi e sottomarini di Mosca con armamento nucleare nel Mare del Nord è poi segno che i russi si stanno preparando al peggio, nel senso di una eventuale risposta ad un eventuale peggio (chiamiamolo solo così per scaramanzia).
D’altra parte, qualunque analista militare sa bene che dopo che non è stato portato a termine il piano di difesa dello “scudo spaziale”, in caso di guerra atomica la supremazia sarebbe di chi spara per primo, proprio come nei duelli dei film western. Certo potrebbe esserci una eventuale risposta, terribile, come vendetta, ma sarebbe pur sempre quella di un Paese che è già stato distrutto, o quasi. In più ci sono altri piccoli segni, come piloti dell’Air Force richiamati nelle loro basi operative.
Capisco che rischio di passare per complottista, o peggio per pessimista, io che sono ottimista, cioè cristiano, di fede e di natura, ma come dicevo in un articolo precedente direi che forse è meglio che tra una discussione e l’altra, pur importantissime, sulle questioni aperte da Sanremo, l’assoluzione di Berlusconi, le scelte del Pd e le decisioni dell’Ue, magari un pensiero a quello che eufemisticamente abbiamo chiamato “il peggio” forse bisognerebbe riservarlo.
E oltre a qualche pensiero anche qualche azione diplomatica più concreta perché il nostro mondo, a cominciare dall’Europa, non diventi una immensa Bakhmut o come qualche cittadina della Turchia e della Siria.
Per questo ho deciso che coi nostri ragazzi non è il caso di rinunciare al Carnevale. Ne abbiamo bisogno, ma senza dimenticare che dopo il Carnevale comincia la Quaresima.
E speriamo che non sia più severa del solito.
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