Le autorità militari americane hanno ammesso l’abbattimento di un loro drone nello spazio aereo internazionale sullo stretto di Hormuz, dopo che l’Iran aveva detto essersi trovato sul proprio spazio interno. È il secondo drone americano dopo quello in Yemen abbattuto in pochi giorni e segna un nuovo punto di crescita della tensione tra Iran e Stati Uniti. Secondo Riccardo Redaelli, professore associato di storia delle civiltà e delle culture politiche, docente di geopolitica e di Regional Studies nell’Università Cattolica di Milano, “è difficile dire cosa sia successo e perché: siamo davanti a una serie di mosse e contromosse tra i due paesi, i quali a loro volta all’interno sono entrambi divisi tra falchi e colombe”. Quello che più preoccupa, ci ha detto ancora, è “che gli Stati Uniti sembrano agire non per propria volontà ma spinti da Arabia Saudita, Israele e soprattutto Emirati Arabi per scatenare il conflitto contro Teheran”.



Professore, quanto accaduto nelle ultime ore come si può definire: un semplice incidente in un’area militarmente affollata o un passo avanti verso l’escalation che porta alla guerra?

È difficile inquadrarlo come un semplice episodio, al pari delle petroliere. Quanto accaduto fa parte di una partita a scacchi, di mosse e contromosse e provocazioni che rendono difficile la piena comprensione degli avvenimenti. Va detto che nello spazio di Hormuz i confini sono molto vicini, è un’area molto ristretta. Può essere una provocazione iraniana per dimostrare la volontà di resistere e combattere, così come una azione americana per saggiare le capacità di intercettazione iraniane. Non dimentichiamoci che sia a Washington che a Teheran ci sono forze contrapposte, quelle che vogliono un accordo di pace e chi spinge per la guerra, e il fatto che siano verosimili entrambe le ipotesi dimostra quanto sia complessa la situazione.



Secondo diverse fonti l’ala dura dei pasdaran è intenzionata a tenere alto il livello dello scontro con l’obiettivo di ottenere l’allentamento delle sanzioni petrolifere. Di che autonomia godono realmente nel quadro politico iraniano?

Le cose in Iran sono più complicate. I pasdaran sono una forza, una realtà molto articolata e frammentata. C’è l’ala militare che si occupa della difesa internazionale, quella interna che controlla la popolazione, ci sono i pasdaran nell’economia con un potere economico enorme, gli ex in politica e nelle istituzioni. Ultimamente si sono molto rafforzati e allo stesso tempo ci sono forti differenze interne. Non credo però che possano agire contro la volontà del leader supremo. Ma questo esiste anche in America, dove l’amministrazione è spaccata in un fronte che vuole la guerra e chi no, mentre gli alleati arabi sembrano dettare la linea agli Usa.



Di quali alleati parla?

Gli Emirati Arabi e la destra israeliana. Quest’ultima vuole la guerra a tutti i costi.

E l’Arabia Saudita?

Certo, ma noi sottostiamo la capacità di influenza di Abu Dhabi che è molto più organizzata e ha una visione molto più raffinata dei sauditi. Tutti questi paesi soffiano sul fuoco e spingono gli Usa al confronto.

L’Iran invece può contare sul Qatar?

Forzatamente. È stata la stupidità dei sauditi a spingere il Qatar nelle braccia dell’Iran. Poi c’è anche la Turchia ma si tratta di un appoggio strategico di scarsa importanza.

Che via d’uscita ha l’Iran da questa situazione?

I margini sono molto stretti, basterebbe un po’ di buon senso da parte degli Usa. Da un lato l’Iran non dovrebbe accentuare le provocazioni, non dovrebbe sforare gli accordi nucleari anche se li considera non più vincolanti per via del ritiro americano unilaterale. Più l’Iran mostra un volto dialogante, che è poi quello del governo, meglio è, però internamente è difficile scontentare i radicali.

Il Medio Oriente sembra davanti a un cambiamento epocale, è così?

Il cambiamento è cominciato con la dissennata invasione americana dell’Iraq, che ha portato un paradossale vantaggio per l’Iran: Teheran ha potuto allargarsi e ottenere successi scatenando però la rabbia di Arabia e Israele. Successi tattici che non si traducono in vittorie strategiche perché privi della forza politica ed economica necessaria a sostenerli. Infatti i russi hanno obbligato gli iraniani ad allontanarsi in Siria dai confini con Israele, cosa che hanno fatto. In ogni caso il confronto in atto sta sfasciando tutto il Medio Oriente.

(Paolo Vites)