“A quattro mesi dal brutale attacco di Hamas e dopo la guerra scatenata in risposta da Israele contro la Striscia di Gaza, sul giorno dopo regna l’incertezza. Lo spettro di un’escalation del conflitto incombe sul Medio Oriente e sulle prospettive di pace e sicurezza della regione nel lungo periodo, mentre la crescente influenza dell’Iran introduce nuove e complesse sfide per la stabilità regionale. In un momento così delicato, la comunità internazionale è chiamata a giocare un ruolo cruciale: l’obiettivo è quello di sviluppare una robusta cornice politica e di sicurezza che possa contrastare il moltiplicarsi di scenari di crisi restituendo centralità ad un’area strategica per la politica estera italiana ed europea”. È la considerazione finale e l’auspicio che arriva dalla Conferenza MED Dialogues (dialoghi sul Mediterraneo), cento esperti riuniti a Roma da ISPI “per ridisegnare un Medio Oriente di pace e sviluppo”.



Il tutto mentre manca poco al varo dell’operazione Aspides, decisa a livello europeo ma finora partecipata attivamente solo da Germania, Francia, Grecia e Italia, ormai nella sua fase di definizione ultima (mezzi schierati, regole d’ingaggio, profilo difensivo/proattivo) dopo l’accordo raggiunto dai ministri alla Difesa dei Paesi interessati, successivo a quello già siglato dai responsabili degli Esteri. Com’è noto (e come avevamo preannunciato su queste pagine), alla Grecia andrà il comando a terra, e all’Italia quello tattico, con un nostro contrammiraglio imbarcato su una delle navi dislocate nella regione (Mar Rosso, Golfo di Aden) per garantire sicurezza ai convogli in transito, azzerando i pericoli derivanti dai frequenti lanci di missili o droni armati da parte dei guerriglieri filoiraniani Houthi dello Yemen. Pericoli che stanno già causando una generale crisi mondiale della logistica e dei rifornimenti, con l’Italia più sofferente di altri, vista la dipendenza del passaggio a Suez di buona parte del nostro import-export.



A sfruttare il vento sono invece Cina e Russia (i loro carghi sono esclusi dagli attacchi), che guarda caso proprio insieme all’Iran hanno annunciato per marzo una grossa esercitazione navale congiunta, al largo delle coste omanite, “per preservare e proteggere gli interessi e le risorse economiche del Paese”, ha sottolineato il comandante della Marina iraniana Shahram Irani. È l’ennesima prova di forza di un wargame sempre meno game, un mostrare i muscoli che giova all’Iran soprattutto dopo le dichiarazioni del consigliere per la sicurezza nazionale USA Jake Sullivan: “Gli Stati Uniti non escludono di colpire l’Iran”, Paese accusato ovviamente di essere il burattinaio, finanziatore, armaiolo dei gruppi islamisti che in tutto il Medio Oriente continuano la loro lotta fanatica anti-occidente e anti-Israele. Con il disegno neanche tanto occulto di sfruttare la crisi (nominalmente iniziata a sostegno dei palestinesi di Gaza) per allargarla, spingendo USA e loro alleati a lasciare la regione al suo destino (confidando magari in una prossima neo-amministrazione Trump), così da saldare il corridoio iraniano al Mediterraneo, grazie a Paesi satelliti come Iraq, Siria e Libano.



Le forze di Aspides si troveranno quindi a manovrare in acque incandescenti: l’Italia ha già in zona la fregata Martinengo (che ha avvicendato la Fasan). Ma domenica scorsa ha lasciato gli ormeggi spezzini anche nave Caio Duilio, in direzione Mar Rosso: è un cacciatorpediniere lanciamissili di classe Orizzonte (un progetto franco-italiano, una via di mezzo tra una fregata e un incrociatore: oggi le marine militari seguono classificazioni diverse, puntando su piattaforme polivalenti), lungo quanto un campo e mezzo di calcio, con 200 uomini imbarcati, 3 cannoni Oto Melara 76/62 SR; 2 Oto Melara Oerlikon KBA 25/80; Sistema missilistico PAAMS con 6 lanciatori verticali a 48 celle per Aster 15 e Aster 30; Predisp. per 8 S/S Teseo Mk2/A; 2 lanciarazzi SCLAR-H; 2 lanciasiluri Eurotorp B515/1 MU90; ed un elicottero EH101/SH90. È probabilmente la nave attualmente più armata della nostra marina e sarà impiegata in una missione a lungo termine: “Dobbiamo garantire la sostenibilità nell’impiego continuativo di almeno una nave nel Mar Rosso per 12 mesi, e valutiamo anche l’invio di assetti aerei”, ha detto il ministro della Difesa Crosetto, giusto mentre uno dei leader degli Houthi, Mohamed Ali al Houthi, dichiarava in un’intervista che “l’Italia diventerà un bersaglio se parteciperà all’aggressione contro lo Yemen, il suo coinvolgimento sarà considerato un’escalation e una militarizzazione del mare, e non sarà efficace”.

Una generale situazione di guerra diffusa, insomma, che non lascia intravvedere soluzioni a breve. “Gli attacchi Houthi, che hanno messo in crisi la libertà di circolazione nel Mar Rosso, sono frutto delle grandi divisioni che caratterizzano oggi lo scenario internazionale – hanno concluso i loro lavori gli esperti radunati da ISPI -. La guerra Hamas-Israele, insieme alla guerra in corso in Ucraina e l’aumento delle tensioni a livello globale, spingono verso un ripensamento degli equilibri mondiali”.

Sul tappeto vi sono nodi insoluti, come il crescente divario nord-sud del mondo, o il rinnovato slancio diplomatico di Russia e Cina, finalizzato ad allargare le relative sfere di influenza soprattutto in Africa. Stiamo assistendo a una “grande frammentazione dell’ordine mondiale resa possibile anche dalla progressiva perdita di credibilità ed efficacia dei contesti multilaterali, Nazioni Unite in primis. In questo contesto, gli eventi in corso nella regione mediterranea stanno contribuendo a trasformare la governance globale e le relazioni internazionali in un mondo sempre più incerto e a geometrie variabili”. Con pesanti interrogativi sui contraccolpi economici. A rischio “la resilienza delle economie regionali e la loro capacità di sopportare shock molteplici”.

L’unica speranza, dopo la sospensione degli Accordi di Abramo, può arrivare dall’avanzata del “processo di normalizzazione tra Paesi arabi e Israele“. Sembra improbabile, ma “gli Stati della regione sanno bene che il riavvicinamento è un esito inevitabile per i vantaggi che comporta in termini di sfruttamento dei benefici di una pace regionale, dal punto di vista della crescita e della sicurezza”.

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