La guerra per procura nel Mar Rosso – che vede lo scontro tra l’islamismo sciita dell’Iran e l’Occidente trasferito nelle mani dei terroristi Houthi yemeniti, impegnati sempre contro Occidente e Israele nel compromettere il transito dal Golfo di Aden fino allo stretto di Bab-el-Mandeb e su fino a Suez – ha scalato un altro livello.
Non ci sono ancora conferme ufficiali, come accade sempre in questi casi, ma varie fonti riportano il sabotaggio di tre cavi sottomarini in fibra ottica (AAE-1, EIG e SEACOM/TGN-Eurasia) che garantivano le connessioni tra Europa, Vicino e Medio Oriente e Asia. Le linee tranciate (in acque yemenite) sono unanimemente ritenute opera dei ribelli Houthi, che ieri hanno smentito l’attacco, ma che pochi giorni fa avevano comunque annunciato nuove manovre sottomarine. S’era pensato all’utilizzo di droni subacquei armati e guidati da remoto, ma adesso la situazione sembra essere più chiara. E pericolosamente difficile da risolvere: basta dire che l’eventuale e indispensabile posa di nuovi cavi andrebbe minuziosamente protetta dagli attacchi, e per di più non potrebbe nemmeno essere garantita dalle società di shipping insurance, che preferiscono evitare coperture rischiose. Così come le stesse società di assicurazione hanno già fatto lievitare a livelli poco sostenibili le polizze su petroliere, portacontainer, tanker e rinfusiere dirette nella regione, tanto che ormai a Suez i transiti sono palesemente crollati e si sono al contrario affollate le rotte di circumnavigazione dell’Africa.
È chiaro che lo scontro tra Hamas e Israele e la diffusione del conflitto ben oltre la Striscia di Gaza (sud Libano e Mar Rosso-Yemen) sta provocando pesanti ricadute sulle economie. Quelle più mediate incidono sui commerci, con i porti europei che non ricevono più carghi da Suez (approvvigionamenti in ritardo e a prezzi maggiorati) e con gli interscambi generalmente ridotti con i territori coinvolti. Quelle invece immediate stanno erodendo vistosamente il tessuto finanziario dei Paesi MENA (Middle East and North Africa), cioè medio Oriente e Maghreb: Algeria, Bahrain, Djibouti, Egitto, Iran, Iraq, Israele, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Malta, Marocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Siria, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, West Bank e Gaza, Yemen.
Nel recente studio “Fronti caldi. Medio Oriente, l’impatto del conflitto”, curato da Valeria Talbot di ISPI, si ricorda che il Fondo Monetario Internazionale in gennaio ha già rivisto al ribasso le proiezioni di crescita della regione. I primi a risentire dell’impatto negativo, ovviamente, sono gli Stati limitrofi all’area del conflitto. Secondo delle stime del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), il costo aggregato della guerra per Egitto, Giordania e Libano potrebbe ammontare a 10,3 miliardi di dollari, pari al 2,3% del Pil di questi tre Paesi. In Giordania e Libano, e in misura minore in Egitto, è il turismo il settore che finora ha risentito maggiormente dell’accresciuta instabilità sul piano geopolitico e che, con il protrarsi del conflitto, potrebbe registrare perdite ancora più significative. Se si considera che per questi tre Stati il settore turistico pesa rispettivamente per il 10%, il 15% e il 40% del Pil, sono evidenti i rischi che incidono su contesti economico-finanziari già vulnerabili.
“In Egitto – riporta ISPI – al di là delle incertezze legate al settore turistico, i cui introiti hanno segnato un più 30% nei primi sei mesi dello scorso anno, è l’instabilità nel Mar Rosso a mettere ulteriormente alla prova un’economia già vacillante, con un’inflazione che ha toccato il picco del 34% a novembre e una valuta nazionale fortemente svalutata rispetto al dollaro. Il calo del 40% delle entrate dal transito delle navi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, registrato a gennaio dall’Autorità del Canale di Suez, acuisce la carenza di valuta estera di cui il Paese ha bisogno per importare grano e altri beni e per rimborsare il suo impressionante debito estero, che ha raggiunto i 164,5 miliardi di dollari nel settembre 2023, di cui 29 miliardi di dollari devono essere rimborsati quest’anno”.
Male anche la Giordania, colpita dall’impatto negativo del conflitto a Gaza. “Oltre alle cancellazioni nel settore turistico, stimate tra il 50% e il 75%, nel regno hashemita la riduzione della crescita, prevista al 2,6% nel 2024, riflette una diminuzione degli investimenti e della domanda di importazioni dalla regione”.
Alti costi in vite umane, quindi, ma anche alti costi in termini economici, che poi riflettono su quelle stesse vite. Nel tentativo di arginare le operazioni militari degli Houthi (teleguidati dall’Iran ma anche presi “in proprio” dal furore di diventare protagonisti nella regione), gli attacchi di Prosperity Guardian (l’operazione aeronavale di USA e UK) continuano, e ad ogni attacco ad obiettivi yemeniti segue una risposta dei ribelli con missili e droni, sfornati da arsenali imprevedibili riforniti da Teheran. Gli Houthi l’altro giorno hanno dato conto degli attacchi con missili e droni contro la petroliera americana Torm Thor, nel Golfo di Aden, e contro alcune navi da guerra USA nel Mar Rosso. PG ha risposto con raid su 18 obiettivi yemeniti portati dai caccia decollati dalla portaerei Usa Eisenhower (CVN-69), che solca protetta dal suo gruppo di battaglia, Ike Carrier. Sta per ritornare nel quadrante anche il cacciatorpediniere HMS Diamond (D34) della Royal Navy, dopo una sosta a Gibilterra per il necessario rifornimento dei missili Aster 15/30: è una nave specialista in difesa aerea, basata sul sistema missilistico Sea Viper.
Oltre alla PG, adesso sta per iniziare l’operatività anche la missione europea Aspides, che dopo l’ok di Bruxelles è in attesa del passaggio al parlamento italiano: l’altro giorno il Consiglio dei ministri ha deliberato l’avvio sia di Aspides (in sinergia con le missioni Eunavfor Atalanta, Emasoh, Combined Maritime Forces) che di Levante, missione che prevede l’impiego di un dispositivo militare per il contributo umanitario a favore della popolazione di Gaza.
L’Italia, com’è noto, avrà il comando tattico di Aspides, basato sul cacciatorpediniere Caio Dulio (D554), già in zona, che ha avvicendato la fregata Martinengo, e schiererà anche un supporto aereo, basato a Gibuti, che vedrà all’opera uno dei due Gulfstream E.550 CAEW dell’Aeronautica Militare Italiana, sofisticato occhio elettronico di tracciamento e controllo radar. Proprio ieri (informa ItaMilRadar) uno di questi velivoli è decollato da Pratica di Mare e ha condotto una sorveglianza sulla Polonia centrale e sull’enclave meridionale di Kaliningrad, prima di tornare a Pratica di Mare. A conferma della valenza strategica di questo mezzo, di cui è dotata solo l’Italia in Europa.
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