Un’isola che non c’è. O meglio, c’è ma quasi nessuno la conosce, e comunque nessuno ne parla. Eppure sta diventando una base-sentinella per tutto l’incandescente quadrante che va dal Mar Arabico al Golfo di Aden, dallo stretto di Bab-el-Mandeb al Mar Rosso. L’isola è Socotra, al largo del Corno d’Africa (230 km dalla Somalia, 350 dallo Yemen), la più grande (si fa per dire) di un minuscolo arcipelago che comprende altri tre scogli: Abd al-Kūrī, Samha e Darsa.
Socotra (grande come la Valle d’Aosta, per circa 100mila abitanti) è una sorta di paradiso, dichiarato patrimonio dell’umanità per la sua incredibile biodiversità eccezionale, fatta di specie rare ed esemplari unici, che si è preservata nel tempo proprio per il sostanziale isolamento dal mondo. Un ecosistema tanto raro quanto suggestivo, un unicum dai “paesaggi tanto diversi tra di loro da sembrare quasi illusori, alieni, miraggi ancestrali e scenari primordiali difficili da contenere”, come riporta PagineEsteri.
L’isolamento s’è attenuato solo con la costruzione del piccolo aeroporto nella capitale, Hadibu, anche se collegato con voli operati unicamente con la capitale yemenita, Sanaa, con Aden, e con Riyan, sempre nello Yemen. Giuridicamente, Socotra dal 1967 fa appunto parte dello Yemen, ma è stata a lungo dimenticata da quel governo, al punto da subire in più occasioni le mini-invasioni militari (mimetizzate da operazioni civili umanitarie) da parte di altri Paesi. Ad esempio, quella post-cicloni, del 2015 e del 2018, che devastarono i territori e determinarono il crollo di un’economia già traballante: gli Emirati inviarono a Socotra mezzi militari, soldati ma effettivamente anche aiuti e soldi, nel tentativo di promuoversi nell’opinione pubblica. O ancora, sempre nel 2018, quella dell’Arabia, che inviò consiglieri militari e soldati per “addestrare e difendere” le forze locali. Una mossa che fece rientrare gli EAU in stand-by. Fino all’ultima “invasione”, nel marzo scorso, quando il Governo di Salvezza Nazionale dello Yemen, a guida Houthi, ha denunciato un nuovo sbarco a Socotra di forze militari degli Emirati Arabi Uniti, un invio di truppe che in realtà erano destinate all’altra isoletta dell’arcipelago, Abd al-Kūrī, sempre di proprietà yemenita, ma già trasformata da tempo in base militare di Abu Dhabi, sembra anche con il sostegno di Israele.
Dal 2020 l’arcipelago di Socotra teoricamente è passato sotto il controllo del Consiglio di Transizione del Sud (STC), organizzazione secessionista yemenita, in realtà controllata dagli EAU. Lo scorso anno gli Houthi (con il supporto di immagini satellitari) avevano accusato gli Emirati di aver espulso da Abu al-Kūrī gli abitanti, per avere campo aperto per la costruzione di un complesso militare israelo-emiratino.
Oggi Abu Dhabi, direttamente o indirettamente, controlla una dozzina di porti nello Yemen del Sud, oltre a Socotra e all’isola di Perim, all’imbocco dello stretto di Bab el-Mandeb, dove è sorta una misteriosa base aerea, ufficialmente senza bandiera, ma di ovvia matrice emiratina. È evidente il disegno del principe Mohammed bin Zayed, presidente EAU, di garantirsi il controllo delle rotte nell’intero quadrante, a protezione dell’enorme traffico commerciale che arriva negli Emirati e che da lì viene poi smistato nel mondo.
Adesso, nel pieno della guerra Israele-Hamas (con i vari spinoff Israele-Hezbollah e Usa/Uk-Houthi), la postura degli Emirati si delinea tra la denuncia dell’eccidio compiuto da Hamas e la difficile manutenzione degli Accordi di Abramo (siglati con Israele nel 2020, mediati da Trump), ma con evidente convergenza con Tel Aviv proprio nelle basi allestite a Socotra, a Perim e forse altrove (non ci sono dati certi, ma se ne suppongono anche in altri territori controllati), se non altro per la ricognizione remota, le intercettazioni, l’allerta precoce, quindi un sistema di monitoraggio per le mosse dell’Iran e dei suoi miliziani proxy.
Ed infine, proprio a Socotra il Centcom (Central Command) statunitense aveva ipotizzato due anni fa la creazione di una base per integrare la rete regionale di difesa aerea congiunta, la Middle East Air Defense Alliance (Mead), un sistema unificato per collegare tutti i sensori di allerta precoce schierati dai Paesi partecipanti sotto la supervisione del Centcom: una rete radar condivisa per individuare e tracciare le minacce aeree. La base allestita dagli Emirati risponde esattamente a quegli obiettivi.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI