Latitudine 15.86664, longitudine 41.1724: Mar Rosso, poche miglia a nord dello stretto di Bab el-Mandeb, all’àncora al largo delle coste yemenite. Questa (secondo MarineTraffic) è la posizione della Behshad, un “general cargo”, una rinfusiera, costruita nel 1999 e battente bandiera iraniana.

È una nave che nella sua storia ha cambiato nome varie volte, da Iran Seestan del varo a Limnetic, da Sea Flower a Magnolia. Adesso (informa VesselFinder) probabilmente anche Behshad sta per essere cancellato con una mano di vernice, sostituito da Bianca. Questa apparentemente innocua bagnarola sta diventando l’incubo per la fregata italiana lanciamissili Fasan (classe Fremm, dotata di missili Aster 30 e 15, che possono fornire protezione entro un raggio di cento chilometri), mezzo modernissimo, spedito di corsa a dar man forte all’operazione navale Prosperity Guardian, che vede schierate nel quadrante unità delle marine francesi ed inglesi, oltre che statunitensi. La Casa Bianca ha chiesto di aggregare le navi degli alleati nella Task Force combinata 153, con sede in Bahrain, per garantire la sicurezza del Golfo di Aden e dello stretto di Bab el-Mandeb.



La Behshad ha sostituito la Saviz, nave iraniana simile, che fu irrimediabilmente danneggiata da una mina, tre anni fa. Quasi un cambio della guardia, perché si tratterebbe non di un cargo qualsiasi, ma di una nave spia posizionata a vigilare elettronicamente sullo stretto e sul Mar Rosso, anche e forse soprattutto in aiuto e guida per gli attacchi degli Houthi filoiraniani dello Yemen. In tutto, sarebbero tre le unità navali iraniane nell’area: oltre alla Behshad (di fatto ferma all’ancora), ci sarebbero un’altra nave “da supporto”, la Bandar Abbas, e la portacontainer Artenos, in tutto una squadra con il compito evidente di fornire ai combattenti Houthi attrezzature e intelligence.



Qualche mese fa gli analisti militari hanno parlato apertamente (diffondendo anche alcune immagini) della conversione della Behshad, che sarebbe diventata di fatto una sorta di piattaforma di lancio per droni kamikaze, con un ponte di volo realizzato sulla coperta. Proprio droni kamikaze del tipo Shahed-136 (con il lancio individuato dall’arcipelago di Dahlak, giusto dove è ancorata la Behshad) hanno colpito una stazione di intercettazione israeliana in Eritrea. E pochi giorni fa è stato sventato un tentativo di attacco contro le navi statunitensi.

La presenza e le attività delle unità iraniane sono oggi al centro delle analisi dell’Ufficio di intelligence navale degli Stati Uniti, volte a chiarire i mezzi elettronici impiegati e a smascherare (al di là delle scontate negazioni iraniane) il diretto coinvolgimento di Teheran negli attacchi portati dai ribelli Houthi.



Anche se è facile comprendere come questa raccolta di “prove” potrebbe finire con l’influire sull’allargamento del conflitto: difficile stabilire una linea rossa da non superare, oltre la quale Stati Uniti e Occidente sarebbero chiamati a reazioni dirette contro l’Iran. Più facile organizzare operazioni di contenimento (come la mina che distrusse la Saviz, iniziativa accreditata agli israeliani) o di dissuasione (come i tre missili Tomahawk americani che colpirono altrettante postazioni radar nello Yemen sotto controllo degli Houthi, dopo i missili che erano piovuti sul cacciatorpediniere USS Mason, nel 2016).

Certo è che il Mar Rosso è diventato l’ultimo fronte del conflitto Israele-Hamas. “In rappresaglia contro Israele, gli attacchi di missili Houthi e droni stanno aumentando nella zona, rappresentando una minaccia significativa per il commercio globale – sostiene l’Ispi –. Lo stretto di Bab el-Mandeb, responsabile di circa il 12% del commercio marittimo globale per volume, sta diventando sempre più pericoloso. Le principali compagnie di navigazione stanno scegliendo di evitare quel passaggio, optando per il viaggio più lungo attraverso il Capo di Buona Speranza. Le compagnie di assicurazione hanno risposto aumentando i premi per le navi che transitano attraverso il Mar Rosso”. E, in previsione, si assisterà a breve ad un aumento del costo del greggio e in generale ad una nuova spinta inflattiva. Quelle dei “ribelli” yemeniti (virgolette perché di fatto gli Houthi controllano buona parte di quel Paese) sono insomma vere minacce alla navigazione e ai commerci, che fanno il paio con i deliri proferiti dal generale di brigata Mohammad Reza Naqdi, comandante coordinatore delle Guardie della rivoluzione iraniana. “Il Mediterraneo potrebbe essere chiuso se gli Stati Uniti e i loro alleati continueranno a commettere crimini a Gaza – ha detto –: si aspettino presto la chiusura del Mediterraneo, dello Stretto di Gibilterra e di altri corsi d’acqua”. Chiusure che, visto che l’Iran non ha un accesso al Mediterraneo, dovrebbero compiersi attraverso procure affidate a “nuove potenze di resistenza” sempre teleguidate dall’Iran. Come gli Houthi, appunto.

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