Più che l’onor poté la geopolitica. I fatti. Dopo i continui attacchi dei terroristi Houthi contro le navi cargo in transito sullo stretto di Bab el Mandeb e il Mar Rosso verso Suez, tutti sembravano d’accordo: bisognava salvaguardare quella trafficata rotta a garanzia di quel 20% del commercio mondiale che passa di lì, una reazione che già per suo conto l’US Navy stava mettendo in essere, abbattendo missili e droni in partenza dalle coste yemenite.
Così gli USA, lo scorso 19 dicembre, hanno varato l’operazione “Guardiano della prosperità”, che sulla carta si doveva basare su una coalizione multinazionale guidata dalla Marina degli Stati Uniti, con risposte ed adesioni entusiaste da parte di Gran Bretagna, Francia, Italia, Danimarca, Spagna, Norvegia, Grecia, Canada, con Bahrein e Seychelles disposte a mettere a disposizione, per quanto possibile, supporti logistici e di intelligence. Eppure – dà conto la Reuters – quasi la metà dei governi che Washington considera partecipanti all’operazione non vogliono già più esservi associati, almeno esplicitamente, come ad esempio Spagna, Italia e, forse, anche la Francia. Il dubitativo è d’obbligo, visto il panorama “fluido” che si sta registrando.
Sempre secondo Reuters (riporta Startmag) “la riluttanza di alcuni alleati americani si spiega con le divisioni che la guerra a Gaza ha creato nella politica e nell’opinione pubblica: le critiche a Israele diventano, di riflesso, critiche agli Stati Uniti per il loro presunto sostegno incondizionato al governo israeliano”, questo anche se la posizione dell’amministrazione Biden, in verità, è più sfumata. Bisogna anche aggiungere che qualsiasi operazione militare o di polizia di mari e cieli associata o addirittura sotto il controllo delle forze statunitensi può portare all’identificazione di ogni alleato come nemico giurato del mondo islamico e sciita, al pari del governo a stelle e strisce, in un coinvolgimento bellico che nessuno in realtà vorrebbe. E già minacce in questo senso sono arrivate anche all’Italia, finita nel mirino della milizia sciita del Libano: per Naim Qassem, numero due del movimento Hezbollah filoiraniano, l’Italia è parte di una nuova “coalizione del male”.
Così sia Francia che Italia hanno stabilito che le proprie unità nel quadrante (la fregata italiana lanciamissili Virginio Fasan e la gemella francese Languedoc) restano sotto comando nazionale, mentre la Spagna vuole fare ancora riferimento alla missione Atalanta (il controllo anti-pirateria nel Mar Rosso varato negli scorsi anni), anche se in realtà quasi tutti i Paesi europei coinvolti (Spagna e Italia inclusi) fanno già parte da tempo delle forze navali combinate americane. La Fasan – ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto – opererà nel Mar Rosso sotto comando nazionale, a protezione del traffico mercantile su richiesta degli armatori italiani. Altri Paesi, al contrario, hanno confermato la partecipazione all’operazione a guida statunitense. Come, ad esempio, la Danimarca, che si prepara a dispiegare una sua fregata.
Così, mentre domenica scorsa dalla USS Eisenhower e dalla USS Gravely decollavano gli elicotteri allertati da una richiesta di soccorso partita dalla portacontainer Maersk Hangzhou (che sembra fosse stata anche colpita poco prima da due missili), e affondavano tre imbarcazioni Houthi che sparavano contro il cargo e contro gli stessi velivoli, si consumava sul fronte geopolitico l’ennesima frantumazione, chiaro esempio non solo dell’incapacità dell’Unione Europea di fornire una risposta univoca ai problemi, ma anche del sostanziale bizantinismo dei Paesi occidentali, sempre pronti a rischiare il meno possibile. Come se agli Houthi, agli Hezbollah, ai fanatici di Hamas o a qualsiasi altro terrorista in vena di sparare importasse poi molto se una nave davanti a casa sia a comando nazionale o statunitense. Non si può sperare in alcun distinguo, e ogni espediente per tentare uno smarcamento finisce solo col dimostrare a Houthi e soci la nostra debolezza, e col confermare agli americani una certa nostra inaffidabilità.
Nel frattempo a Teheran è stato ricevuto il portavoce e capo negoziatore degli Houthi Mohammad Abdulsalam, a dispetto di tutte le recenti affermazioni che volevano le azioni degli yemeniti slegate dal controllo iraniano. Di più: l’agenzia iraniana Tasnim ha annunciato l’invio da parte di Teheran del cacciatorpediniere Alborz nel Mar Rosso. Proprio mentre dagli Stati Uniti giunge notizia del ritiro dall’area della portaerei Ford, che sarà sostituita dalle più manovrabili unità anfibie d’assalto Uss Bataan, Uss Mesa Verde e Uss Carter Hall.
Nel golfo di Aden rimarrà comunque l’altra portaerei, la Eisenhower, anche perché secondo la stampa statunitense e inglese la postura degli Usa contro gli attacchi dei miliziani yemeniti potrebbe preludere ad operazioni più ampie, per colpire le basi missilistiche e di droni Houthi. Il punto di non ritorno.
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