Il Mar Rosso è cruciale per i commerci globali; non solo per le rotte su cui viaggiano petrolio e gas liquefatto. Se le tensioni dovessero continuare e se le rotte commerciali venissero impattate le conseguenze sarebbero notevoli a più livelli.

All’inizio della crisi ci si è soffermati sul rialzo dei noli marittimi che a cascata si riverserebbe su tutte le merci trasportate attraverso il Canale di Suez. Se le navi devono circumnavigare l’Africa e impiegare più giorni di navigazione si crea immediatamente una carenza di navi e quindi i noli salgono. Le conseguenze sono però più ampie e profonde. Ieri Volvo ha sospeso la produzione in una delle sue fabbriche in Belgio per l’interruzione delle forniture. Le catene di fornitura della manifattura europea affondano in Asia e le componenti asiatiche, in primis cinesi, finiscono in prodotti che poi vengono lavorati o assemblati in Europa e poi esportati. Le forniture di petrolio russo all’India, la potenza industriale emergente che si candida a sostituire la Cina, passano dal Mar Rosso. Le forniture di gas liquefatto che dal Medio Oriente arrivano in Europa passano dal Canale di Suez. La grande speranza europea del gas, il Qatar, è al di là del Canale di Suez e al di là dello Stretto di Hormuz. Anche la Cina alimenta la propria manifattura con il gas e il petrolio medio-orientale.



L’impatto sui flussi fisici di gas e petrolio sembra già avvenuto. Secondo i dati pubblicati dall’agenzia del dipartimento dell’energia degli Stati Uniti, le esportazioni di petrolio americano sono cresciute del 35% nell’ultima settimana di dicembre. Per molti operatori è molto più conveniente comprare petrolio americano, anche se più costoso, piuttosto che rischiare problemi con il passaggio delle navi nel Mar Rosso o nello Stretto di Hormuz. La componentistica che arriva in Europa dall’Asia potrebbe risultare troppo costosa per essere assorbita nei prezzi di vendita. In questo caso si porrebbe immediatamente il problema di un sostituto, ma ricostruire capacità produttiva al riparo da rischi geopolitici richiede tempo e soldi.



Esattamente come la guerra in Ucraina ha impattato i flussi fisici di gas e petrolio, così le tensioni di queste settimane in Medio Oriente possono cambiare rotte e i commerci. In questo secondo caso, però, l’impatto è potenzialmente un multiplo di quello causato dalle sanzioni contro la Russia. Il gas russo continua ad arrivare in Europa, ma costa molto di più. Per sostituire completamente le forniture russe servono molti miliardi di euro e anni di investimenti. Tutto questo si può traslare sulle tensioni in Medio Oriente solo che in questo caso a essere coinvolto è un nodo vitale dei commerci di beni globali. Se il nodo dovesse saltare e le principali compagnie di navigazione dovessero decidere di cambiare le rotte le conseguenze sui prezzi e la produzione industriale colpirebbero i commerci globali non solo le forniture di gas europee. A tutti i flussi che oggi passano da Mar Rosso verrà applicato un ulteriore costo in alcuni casi assorbibile dai consumatori e in altri meno. Gli incentivi a trovare fornitori alternativi, dove possibile, non mancheranno.



L’Europa anche in questo caso appare come il soggetto più fragile perché ha già perso le forniture russe, perché non ha risorse naturali e perché ha rapporti complicati perfino con i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo. Forse questo spiega la ritrosia europea a mandare navi e aerei nell’area, nella speranza, probabilmente, di evitare a ogni costo qualsiasi escalation.

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