Nessuno poteva immaginare che spedire una nave da guerra in un teatro di guerra come il Mar Rosso potesse essere una missione di pace, deterrente. Nessuno poteva supporre che sarebbe stato sufficiente sventolare la nostra bandiera davanti alle coste degli Houthi per farli desistere dai loro attacchi. Lo avevano ben dimostrato i missili già sparati dalle unità dislocate in zona dagli altri Paesi aderenti all’operazione Aspides, fregate sia francesi che tedesche, loro per altro con già in tasca le autorizzazioni dei rispettivi Parlamenti, mentre il nostro cacciatorpediniere resta ancora in attesa del via libera (la discussione in Senato inizierà solo martedì).
Dunque, era prevedibile, ed è capitato. Per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale una nave italiana ha sparato contro un obiettivo militare ostile. Il caccia Caio Duilio (che ha in pectore il comando tattico di Aspides) l’altro giorno ha inquadrato nei suoi sistemi di rilevamento e tracciamento un APR (aeromobile a pilotaggio remoto) kamikaze, in rotta di collisione. Si trattava di un drone di matrice iraniana, probabilmente un Asef (Fateh 313 nella originale denominazione iraniana, con una portata di 450 chilometri) o un Tankil (versione anti-nave dello Zohayr in forza alle IRGC, con una portata di circa 500 chilometri), intercettato – dicono le note ufficiali – a poco più di tre miglia nautiche, una distanza piuttosto ravvicinata, tanto da far supporre l’utilizzo dei cannoni di bordo (da 25 e 76 mm, tre obici Oto Melara 76/62 Super Rapido, con cadenza di tiro di oltre 120 colpi/min e una gittata utile fino a 9 000 m), governati da due sistemi per il controllo del fuoco NA-25X, piuttosto che di un missile Aster (15 o 30) del sistema PAAMS (costosissimo, oltre 1,5 milioni l’uno).
“Ci hanno attaccato, sono stati abbattuti. La guerra nel Mar Rosso coinvolge anche una unità italiana, il cacciatorpediniere Caio Duilio, che si dimostra più che in grado di rispondere agli attacchi Houthi – ha comunicato in una nota il ministero alla Difesa –. In attuazione del principio di autodifesa, nave Duilio, che ha avvicendato nave Martinengo nell’attività nazionale avviata a fine dicembre in seguito agli attacchi da parte dei miliziani Houthi, ha abbattuto un drone nel Mar Rosso. Il drone, dalle caratteristiche analoghe a quelli già usati in precedenti attentati, si trovava a circa 6 chilometri dalla nave italiana, in volo verso di essa”.
“Gli attacchi terroristici degli Houthi – ha commentato il ministro Guido Crosetto – sono una grave violazione del diritto internazionale e un attentato alla sicurezza dei traffici marittimi da cui dipende la nostra economia. Questi attacchi sono parte di una guerra ibrida, che usa ogni possibilità, non solo militare, per danneggiare alcuni Paesi e agevolarne altri”. Che poi, è l’essenza stessa di ogni guerra.
Eliminate dunque le distrazioni e le illusioni, è evidente che la missione Aspides (ancora formalmente nemmeno partita) opera per un mare libero, in difesa del traffico marittimo internazionale, ma ovviamente con una difesa che inevitabilmente implica l’uso della forza. Si spara, e si sparerà, vista la tenacia degli Houthi nei loro attacchi terroristici. Resta sospeso però un quesito che già qualche settimana fa ponevamo da queste pagine: se un missile, o un drone, riuscirà a forare le difese delle nostre unità e a colpirne una, causando danni e vittime, come si dovrà reagire? Saremo disposti a porgere un’altra nave? Potremo mantenere la medesima postura o si invocherà una modalità più (pro)attiva? Non sono sofismi: sono variabili da considerare ogni volta in cui si accetta di intervenire in un conflitto, anche se la decisione è più che giustificata dal fatto che in questo caso si tratta di frenare un vero terrorismo.
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