Forse una svolta nella drammatica situazione in Tigrai, dove dallo scorso novembre infuria una guerra tra il governo centrale di Addis Abeba (Etiopia) e il Fronte di liberazione del popolo del Tigrai. I leader del Tplf hanno infatti inviato le loro condizioni per partecipare a colloqui di pace con il governo federale. In Tigrai intanto la situazione, come già più volte ci ha detto Mussie Zerai, sacerdote eritreo che vive  in Italia e dal 1995 si occupa di migranti e di rifugiati politici dall’Eritrea e dall’Etiopia, non solo nel nostro Paese, è sempre più drammatica: “Dal Tigrai dove sono stati commessi massacri, affamata la popolazione per costringere i ribelli ad arrendersi, tanti sacerdoti e monaci sono stati uccisi.



È necessario insieme ai dialoghi di pace l’invio di una commissione internazionale che indaghi, anche perché dal Tigrai le decine di migliaia di profughi che sono scappati nel Sudan, sono cristiani che adesso si trovano alla mercé dei gruppi radicali islamisti”.

I ribelli del Tigrai hanno avanzato le loro proposte per avviare un dialogo di pace con il governo centrale. Crede che saranno accettate?



Speriamo sia l’inizio di un dialogo che porti alla pace e al ritorno della vita normale per tutta la popolazione di quella regione, ma non solo, per tutta la gente del Corno d’Africa. Perché quando uno di questi paesi della regione è nel subbuglio di una guerra tutti gli altri non sono in pace o rischiano di esserne coinvolti. Se almeno c’è la volontà di dialogare già è un segnale positivo. Spero che anche la comunità internazionale si dia da fare a mettere tutti intorno a un tavolo.

Tra le richieste dei ribelli c’è l’espulsione delle truppe eritree, la cui presenza è sempre stata smentita. Lei che ne pensa?



Quella di soldati eritrei in Tigrai è una presenza confermata da più fonti. Si devono ritirare.

Come mai sarebbero entrati in Tigrai? Su richiesta di Addis Abeba o di loro iniziativa?

Non lo sappiamo, ma non credo che un esercito di un altro paese possa entrare nel territorio di uno stato sovrano senza il permesso di questo stato. Altrimenti sarebbe stata una aggressione. Ma non c’è nessuna dichiarazione del governo federale che denunci uninvasione, magari c’è stato un accordo tacito. Non abbiamo però alcuna certezza, nessun organismo internazionale ha potuto indagare, per questo ci vuole una commissione di inchiesta.

Ci sono tante cose da indagare. Si parla di massacri.

Sì, da indagare ci sono tutte le atrocità che sono state commesse, l’uso di stupri come arma di guerra, la riduzione alla fame di molte zone che non sono raggiungibili dagli aiuti umanitari. Se è stata usata la fame come strumento per piegare la resistenza, questo è un delitto che va indagato e perseguito. Ci sono poi massacri che hanno colpito monaci e sacerdoti.

Molti profughi fuggiti in Sudan sono appunto cristiani, dove adesso si trovano nel mirino di milizie islamiste. Cosa può dirci in merito?

I cristiani in questa regione rischiano di diventare una minoranza se non lo sono già. Il passaggio in Sudan sia di eritrei che etiopi da sempre è costato discriminazione e maltrattamenti da gruppi predatori o islamisti. Proprio qualche giorno fa il papa ha ricordato il massacro dei copti in Libia, ma non è l’unico. Nella stessa Libia, cristiani eritrei ed etiopi sono stati uccisi solo perché cristiani. Così nel Sudan la loro presenza è da sempre perseguitata. Questa situazione aggrava ancora di più la loro presenza.

(Paolo Vites)

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