Strage nella città più santa per i cristiani ortodossi, Axum, nella regione del Tigrai, dove dallo scorso novembre infuria una guerra fratricida fra la popolazione locale, che chiede maggiore autonomia, e il governo di Addis Abeba, guidato dal Premio Nobel per la pace 2019 Abiy Ahmed, che di pacifico sta dimostrando di aver ben poco. Se è vero infatti che Abiy Ahmed portò a termine la guerra decennale con l’Eritrea, la ribellione in atto nel Tigrai la sta soffocando nel sangue. Dopo la conquista della capitale Makallè, infatti, i ribelli hanno continuato a combattere: ad Axum le truppe governative, sostenute da quelle eritree, hanno massacrato oltre 750 fedeli che difendevano la cattedrale di Maria di Sion, dove secondo la tradizione è custodita l’Arca dell’Alleanza, portata in dono da re Salomone alla leggendaria regina di Saba. Ma è stata attaccata anche la moschea di Nejashi, a Wukro, costruita in onore e ricordo dei compagni di Maometto che qui erano fuggiti dalle persecuzioni e che furono accolti dai cristiani. Le loro tombe sono ancora in quel luogo, anche se la moschea è di recente costruzione. Secondo Mussie Zerai, sacerdote cattolico eritreo, che vive in Italia dove si occupa di migranti e di rifugiati politici dall’Eritrea e dall’Etiopia, “questa violenza senza distinzioni vuole creare odio e discriminazione fra la popolazione locale, che è attaccatissima alla propria religione, per fomentare il clima di violenza”. Inoltre, ci ha detto, “l’Etiopia ha violato la convenzione di Ginevra, permettendo agli eritrei di riportare con la forza 6mila degli oltre 100mila rifugiati che qui si trovano nel loro paese di origine”.



Strage ad Axum: il silenzio dei media internazionali aveva fatto credere che le violenze nel Tigrai fossero finite. Invece?

Purtroppo sì, il fatto che questa strage sia avvenuta nella città ritenuta santa dai cristiani ortodossi è un brutto segno per tutti. Chi pensava che fosse una guerra lampo si sbagliava e il rischio è che si possa trascinare a lungo con continue stragi. Quella regione rischia di non avere mai pace.



Nonostante la conquista di Makallè, capitale del Tigrai, l’esercito etiope non riesce a domare i ribelli, è così?

Il problema è proprio questo: i gruppi di guerriglieri che rifiutano di arrendersi conoscono benissimo il territorio, sanno dove nascondersi, hanno già combattuto per trent’anni contro il dittatore Menghistu, e questo sarà difficile da risolvere se non si arriva a un negoziato pacifico.

È stata denunciata la presenza di truppe eritree a fianco di quelle etiopi. Risulta anche a lei?

Personalmente non ho conferme, ma da più parti si denuncia questo fatto e anche il governo provvisorio del Tigrai ha parlato di infiltrazioni di soldati eritrei. Se sono entrati, vuol dire che hanno avuto il permesso del governo etiope. Forse in cambio del loro aiuto militare sono stati promessi all’Eritrea quei territori contesi che l’Onu aveva assegnato all’Eritrea e che invece sono rimasti in mano all’Etiopia. La presenza eritrea è un altro fattore che rischia di aggravare il conflitto.



Come mai questa violenza contro le religioni, cristiane e musulmane?

Si sta cercando di fomentare l’odio fra le etnie e le religioni, si tocca la religione sapendo che le popolazioni del luogo sono fortemente legate alla propria fede. Quella cristiana è radicata dai tempi degli apostoli e la moschea che è stata attaccata fu costruita dai primi seguaci di Maometto, accolti come rifugiati dal re di Axum. Quella moschea è simbolo della generosità cristiana, invece si vogliono innescare conflitti fra le religioni e questo è veramente pericoloso.

L’Onu non sembra in grado di muoversi. Potrebbe organizzare un cordone militare fra le due realtà in lotta?

Si potrebbe fare, l’Onu può e deve utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per evitare lo spargimento di sangue fratricida che non porta da nessuna parte. Anche l’Unione africana e tutti gli attori che possono aiutare la pace dovrebbero muoversi: abbiamo bisogno di pompieri, non di piromani.

L’Africa è sempre più oggetto di conquista. L’Etiopia con chi ha rapporti?

Un tempo era l’Unione Sovietica, poi sono subentrati gli americani, adesso è divisa tra cinesi e americani, ma soprattutto i paesi arabi, che stano comprando quasi tutto, controllano le coste del Mar Rosso, comprese quelle dell’Eritrea. I nuovi padroni sembrano loro.

Cosa ci dice dei rifugiati eritrei che si trovano in Etiopia?

Devo lanciare un appello: la situazione è gravissima. I rifugiati eritrei si trovano tra due fuochi, circa 100mila di loro che si trovavano in alcuni campi nel nord sono stati forzatamente deportati in Eritrea da parte dell’esercito eritreo che è venuto apposta a prenderli. È la totale violazione degli accordi di Ginevra, lo stato etiope aveva la responsabilità di garantire la sicurezza di questi rifugiati che invece sono stati consegnati nelle mani del governo eritreo. Anche l’Alto commissario delle Nazioni Unite, Filippo Grandi, ha chiesto risposte che non sono arrivate. Vogliamo che i diritti siano garantiti: se l’Etiopia non è in grado di proteggerli, si creino corridoi umani per trasferirli altrove.

(Paolo Vites)