Lo so che direte che io ho un chiodo fisso con questa storia dei volontari della pacificazione. Ma sapete da dove mi è venuta l’idea? Nel mio quartiere, in molte famiglie, ci sono donne dell’ex Unione Sovietica, soprattutto moldave, georgiane e ucraine, che lavorano da anni come domestiche o come badanti. Le vedi andare al mercato con grosse borse, discutere, a volte animatamente in una strana lingua, una specie di esperanto dei poveri cristi, con venditori per lo più nordafricani. Poi a volte, soprattutto la domenica, nelle poche ore di permesso, passeggiare per corso Buenos Aires, conversando finalmente tra loro, nella loro lingua.
Purtroppo da quando è cominciata la guerra in Ucraina anche i rapporti tra alcune di loro sono cambiati. All’inizio sembrava esserci tra tutte una certa forma di solidarietà. Anzi, alcune si sono offerte di aiutarci nella non sempre facile accoglienza delle donne che fuggivano dalla guerra coi loro bambini. Poi, a poco a poco, come dicevo, la situazione ha cominciato a cambiare. Sono cominciate ad arrivare le notizie di parenti o conoscenti uccisi, della devastazione delle loro città. La paura che i loro figli e nipoti fossero arruolati per andare al massacro. Purtroppo in qualche caso è cominciato anche il confronto tra la loro vita di duro lavoro e quella delle donne accolte e assistite, che non era chiaro di che cosa si occupassero.
E così è successo che amiche che fino all’anno scorso non rinunciavano mai al rituale del “ciaj” (tè) insieme, ora non si salutano più. Tra le stesse badanti ucraine (di russe ce ne sono poche) si sono già divise quasi tutte in filorusse e filoucraine. Gli epiteti che girano su Zelensky o su Putin non è il caso di riferirli, ma li potete, forse, immaginare. Che tristezza! Eppure non si può non voler bene anche a queste donne la cui vita, già spesso assai difficile, ora deve subire una nuova prova, a volte terribile. Pensare di invitarle a un tè insieme, per ora, mi sembra un’iniziativa poco praticabile. Proporre un momento comune di preghiera (già fatto) rischierebbe di trasformarsi in una serie di “preghiere contro”, che non è proprio quello che ci ha insegnato Gesù.
Per ora forse può bastare far vedere che ci siamo, magari procurando loro alcune leccornie del loro Paese, che a Milano non sanno trovare o non possono comprare. Il tutto senza fare preferenze tra filorusse e filoucraine, perché i pelmeni con la smetana piacciono alle une come alle altre. Vuoi vedere che prima o poi se capiscono che di noi ci si può fidare, potranno fidarsi anche se le invitiamo a riconciliarsi? Per questo preghiamo per loro, anche al loro posto. Per ora dai “volontari della pacificazione” di Milano è tutto.
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