Viviamo tempi terribili, mai visti prima. La storia corre velocemente senza ordine verso il cigno nero. Linee rosse reciproche superate, azzardi e hybris. I decisori dei destini delle nazioni non usano freni, procedendo in modo rettilineo contro le volontà rivali. La gravità della crisi mondiale in corso, perciò, ha di gran lunga superato per estensione e quantità di dolore inflitto quella del 1962. I rischi per la sicurezza dell’umanità vengono dimenticati in un gioco mortale in cui la posta viene sempre più rialzata.



Bisogna fare dunque qualche passo indietro per riflettere. La storia dopo la caduta del muro di Berlino non è finita: ha subìto una mutazione e un cambiamento di direzione. Gli Stati che avevano sofferto sotto il totalitarismo comunista, in tempi diversi, chiesero di essere ammessi nella Nato. Libertà e sicurezza erano obiettivi fondamentali e inscindibili per i politici dell’Est. Leader e popoli ricordavano bene il trattamento riservato ai “Paesi fratelli” (Ungheria 1956 e Cecoslovacchia 1968). Holodomor, Gulag e repressioni varie, ideologicamente dimenticati, minimizzati o trattati frettolosamente nei libri di storia italiani, erano fatti storici di vasta dimensione, invece, tristemente noti agli europei che erano stati intrappolati dall’ideologia comunista.



Nella Russia post-sovietica, di contro, mancò un filosofo come Jaspers, autore de La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania (Cortina, 1996) e non fu fatta una rielaborazione critica collettiva della tragica esperienza vissuta e fatta vivere a popoli e persone. La frase dostoevskijana “davvero ognuno è colpevole dinanzi a tutti, per tutti e di tutto” fu considerata nel suo valore letterario-museale e non nel suo sempre attuale significato ontologico-politico. La narrazione storica fu ancorata sulla vittoria nella seconda guerra mondiale con il decisivo contributo dato dall’URSS alla vittoria contro il nazismo, dimenticando il patto Molotov-Von Ribbentrop e le fosse di Katyn. Le iniziative di associazioni volte a far conoscere l’ideologia del buio e le storie di tanti testimoni della giustizia e della verità vennero ignorate, sminuite, confinate, boicottate o colpite. Non era perciò infrequente trovare in alcune case russe l’icona della Trinità e l’immagine di Stalin. Una pericolosa mancanza di giudizio, assecondata dall’edificazione dei Parchi della memoria, in cui veniva celebrata una mitizzazione della storia nazionale piuttosto che una realtà effettiva.



Subito dopo la caduta del Muro venne anche in luce il problema della collocazione geopolitica dell’Ucraina. Su tale questione restano ancora interessanti le riflessioni di Samuel P. Huntington ne Lo scontro delle civiltà (Garzanti, 2001). Lo studioso di Harvard intravedeva proprio nell’Ucraina, per la sua articolata complessità, per le sue diversità interne e per la sua storia, una possibile zona di faglia e di frattura tra le civiltà.

Un aiuto rilevante e ancora valido alla comprensione, a tal proposito, furono anche le riflessioni di Vittorio Strada che auspicava l’ Ucraina come ponte e non cuscinetto tra Occidente e Russia. E ricordava nel suo magistero gli storici Georgij Fedotov (russo) e Mykola Kostomarov (ucraino), i quali avevano fatto notare la specificità nazionale dell’Ucraina rispetto alla Russia.

A tal proposito bisogna notare che tra i due popoli esistono affinità, innegabili intrecci e lunghi legami di storia/radici comuni. Yaroslav Hyrtsak, tuttavia, in Storia dell’Ucraina (Il Mulino, 2023) sottolinea lo spirito egualitario-libertario della Cosacchia rispetto alla sostanziale accettazione della verticale del potere in Russia: sensibilità differenti, dunque. Nell’Ucraina, inoltre, si è verificato nel XX secolo, per così dire, un terribile “eccesso di storia”. Un succedersi di tragedie molto gravi e di dimensioni gigantesche: fatti che avrebbero dovuto suggerire una maggiore prudenza e una desistenza delle potenze dal ricercare rispettive aree di influenza, a favore di una neutralità garantita, riconosciuta e sicura. Holodomor, Babj Jar, Bandera, guerra cruenta e diffusa dopo il 1945, persecuzioni e omicidi politici costituivano, infatti, una quantità di dolore impressionante e presente ancora nelle memorie di tutti.

L’invasione dell’Ucraina da diverse direttrici – e non dunque la piccola incursione paventata da Biden o la prosecuzione della guerra nel Donbass – è stata, così, l’apertura del vaso di Pandora, il ribaltamento della legalità internazionale e l’avvio del caos. Le sofferenze immani della popolazione ucraina, i civili uccisi, le memorie comuni distrutte (bombardamento del museo Skovoroda, “Socrate errante” alla base della filosofia religiosa russa): traumi duraturi e fratture impressionanti. Poi le minacce continue e il quadro internazionale sempre più vicino all’incendio con il progressivo, cieco e inerziale avvicinarsi di uno scontro globale Oriente-Occidente. E infine la possibilità del ricorso alla bomba atomica fatta numerose volte da leader, opinionisti e analisti russi, non solo in maniera retorica e a fini di guerra cognitiva. Ancora, nello scenario del Medio Oriente, due politici israeliani, Ben Gvir e Eliyahu, dopo il disumano pogrom di Hamas, hanno fatto affermazioni simili. Mentre l’Iran, nemico giurato di Israele, è andato avanti con i suoi progetti e secondo gli analisti è in grado di fabbricare tre bombe atomiche in pochi giorni. Chi non ricorda, a tal proposito, le affermazioni fatte da Ahminedjad, cioè “cancellare Israele dalla mappa”?

Alcuni strateghi, in un’altra area calda, suggeriscono l’uso di armi devastanti in caso di possibile invasione di Taiwan. Il dittatore nordcoreano Kim Jong-un ha recentemente testato un drone nucleare sottomarino. Resta tuttora critica e rischiosa la situazione della centrale nucleare di Zaporižžja, vicina a zone di combattimento. Che dire poi di tutte le altre armi e possibilità distruttive che la guerra ipertecnologica, aerospaziale, biologica e chimica o non ortodossa mette a disposizione delle potenze? Si tratta di realtà micidiali, i cui effetti sfuggono del tutto alle capacità di previsione strategica. Nessuno, insomma, può veramente vincere, mentre tutti possono perdere; solo le lobbies delle armi possono temporaneamente e insipientemente lucrare e ingrassare.

E d’altra parte, in questi tempi cosa si è fatto contro il nemico comune, cioè il terrorismo internazionale, in grado di colpire civili inermi nuovamente a Mosca, Israele o in Occidente?

Per ritornare alla guerra russo-ucraina (definizione dello storico ucraino Serhii Plokhy), le ferite interiori e fisiche inflitte dalle azioni militari sono gravi e sanguinanti, forse però per evitare il precipizio definitivo per la famiglia umana sarebbe auspicabile, oggi, una nuova Helsinki. Accordi mirati di passi indietro, piccoli e misurati, per permettere ai popoli di non morire, per provare forme di non aggressione e di semplice coesistenza. Si tratta di un cambiamento di sguardo, non facile. Il giudizio sul male morale resta e non può essere revocato. Neutralismo morale e comodità del quietismo irenistico non servono e non aiutano. La Chiesa nella sua lungimiranza ci insegna, infatti, la priorità della salvezza. Salvezza non solo di chi presentemente soffre anche in altri luoghi (Sud Sudan, Etiopia e Congo), ma salvezza orientata per tutti e ciascuno all’eternità. Salvezza impegnata prima che sia troppo tardi, prima che il nulla divori per sempre il cuore di chi brama il dominio. Per un pezzo di terra in più da possedere, accade oggi che creature di polvere e cenere vogliono distruggere altre creature. Non si può più continuare così. Come non ricordare, perciò, Fra Cristoforo di Manzoni? “Voi avete creduto che Dio abbia fatto una creatura a sua immagine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Voi avete disprezzato il suo avviso!… In quanto a voi sentite bene quel ch’io vi prometto. Verrà un giorno…”

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