Zero based budgeting: è una tecnica secondo la quale il bilancio preventivo di spesa viene fatto partendo da zero e non, come normalmente avviene, per differenza con il bilancio dell’anno prima. La priorità viene quindi posta sugli obiettivi da raggiungere e su questa base si stabiliscono le risorse necessarie: le spese devono così essere rapportate direttamente agli obiettivi e quest’ultimi vanno rivisti in base alle risorse disponibili. Una tecnica cui dovrebbero prestare maggiore attenzione parecchi governi nella redazione dei bilanci statali, ma che potrebbe essere utilmente applicata agli organismi internazionalI, a partire da Onu, Ue e Nato.
Per quanto riguarda la Nato, in effetti nella sua storia vi è stato qualcosa di simile. Il Trattato Nord Atlantico fu firmato nel 1949, da 10 Paesi dell’Europa Occidentale più Stati Uniti e Canada, come alleanza militare puramente difensiva di fronte a possibili attacchi dell’Unione Sovietica. L’Urss rispose con la creazione nel 1955 dell’analogo e contrapposto Patto di Varsavia con 7 degli Stati suoi satelliti, compresa la Germania Orientale, mentre la Germania Occidentale aveva poco prima aderito alla Nato. Il Patto di Varsavia venne sciolto nel luglio del 1991 e attualmente tutti i suoi membri fanno parte della Nato, ad eccezione della Russia. Quest’ultima partecipa però, insieme a 11 ex repubbliche sovietiche, al Partenariato Euro-Atlantico promosso dall’Alleanza nel 1997 e di cui fanno parte i 30 membri della Nato e altri 20 Paesi.
La nuova situazione, in effetti, portava a discutere le ragioni per la continuazione di un’alleanza difensiva contro un avversario che non esisteva più. A meno che la sua permanenza fosse considerato uno strumento di validazione di quella che si considerava la nuova era, il cosiddetto “Secolo americano”, caratterizzata dal predominio degli Stati Uniti. L’attentato dell’11 settembre 2001 ha presentato un possibile nuovo obiettivo per la Nato: la lotta al terrorismo. Un obiettivo, tuttavia, non del tutto centrale per un’alleanza prettamente militare, essendo la lotta al terrorismo più una questione di collaborazione tra le polizie e le intelligence dei vari Paesi. Lo stesso sito della Nato, nell’elencare undici obiettivi specifici di tipo militare, pone la lotta al terrorismo al nono posto, essendo al primo posto il mantenimento di un mix appropriato di difesa missilistica e nucleare e di forze convenzionali.
Durante tutto il periodo della Guerra fredda, la Nato non è mai stata coinvolta in operazioni militari, in assenza di attacchi diretti ai Paesi membri. Operazioni militari sono incominciate dopo la caduta dell’Urss, modificando il carattere difensivo dell’Alleanza, come riconosciuto dallo stesso sito Nato. Gli esempi più evidenti di questo cambiamento sono dati dall’intervento militare contro la Serbia nel 1999 per il Kosovo e in Libia nel 2011, due azioni difficili da riportare al carattere difensivo dell’alleanza.
Da una decina di anni la Nato, o quantomeno i suoi vertici, hanno identificato nuovamente un avversario principale: la Russia con la sua attiva politica estera. Tuttavia, ciò non è stato sufficiente a risolvere i problemi interni all’Alleanza, a partire dalle richieste di Donald Trump ai Paesi europei di contribuire maggiormente alle spese della Nato. Per gli Stati Uniti il pericolo maggiore viene dalla Cina, e la Nato sembra ora giuocare un ruolo meno essenziale, data la sua lontananza dallo scenario asiatico. È quindi abbastanza consequenziale la richiesta di una maggiore partecipazione finanziaria da parte dei Paesi europei che, primi presunti beneficiari dell’Alleanza, dovrebbero badare in modo più autonomo alla loro difesa. Invito subito raccolto da Emmanuel Macron che, nel definire la Nato in uno stato di “morte cerebrale”, ha di fatto avanzato l’ipotesi di una difesa unitaria europea. La Francia è militarmente più forte della Germania e, dopo l’uscita del Regno Unito, è l’unica potenza nucleare nell’Ue. Un esercito europeo, di fatto, sarebbe quindi a guida francese.
La minaccia russa è particolarmente, se non esclusivamente, sentita dagli Stati ex satelliti, soprattutto Polonia e Repubbliche baltiche, ma probabilmente meno percepita dagli altri membri della Nato. La principale minaccia per l’Alleanza viene ancora una volta dal suo interno e dal fronte Sud, con il conflitto creato dalla Turchia nel Mediterraneo orientale per lo sfruttamento dei depositi di idrocarburi. La questione riguarda anche Francia e Italia, che rischiano di non poter sfruttare le concessioni avute da Cipro, ma la principale vittima è la Grecia. Purtroppo, l’aggressiva e spregiudicata politica estera di Erdogan non può far escludere che la situazione possa degenerare in uno scontro militare tra i due Paesi.
Un conflitto armato tra Grecia e Turchia, tragico di per sé, porrebbe la Nato in una posizione insostenibile, dato che dovrebbe intervenire per l’aggressione non di uno Stato terzo, ma di un suo membro contro un altro. Lo zero budgeting sembrerebbe diventare essenziale per evitare una disastrosa riduzione a zero dell’intera Alleanza.