L’eventualità di uno scontro militare tra Grecia e Turchia va messa in conto. “Il rischio di arrivare ad una prova di forza con i turchi c’è. Fa parte non solo dell’importanza degli interessi in gioco ma anche della cultura strategica di questo paese” dice al Sussidiario Paolo Quercia, docente di studi strategici nell’Università di Perugia e direttore del Cenass.
A sudest dell’isola di Creta la nave turca di ricerca sismica Oruc Reis è attualmente scortata dalla Marina militare di Ankara e sorvegliata da navi da guerra greche. Il motivo della contesa sono gli ambìti giacimenti di gas della piattaforma continentale del Mediterraneo orientale e le Zone economiche esclusive (Zee), le aree marittime adiacenti alle acque territoriali l’accesso alle quali è necessario per rivendicare i diritti sui sottostanti giacimenti. Venerdì Erdogan aveva annunciato la ripresa delle ricerche e l’invio della Oruc Reis al largo dell’isola di Kastellorizo (Castelrosso), nel Dodecaneso. Ieri si è arrivati al punto massimo di frizione, quando la Guardia costiera turca ha annunciato di avere soccorso tre persone – due turchi e un siriano – a bordo di un’imbarcazione privata che sarebbe stata attaccata da forze greche al largo dell’isola di Rodi. Atene, che non ha commentato, ha chiesto una riunione di emergenza dei ministri degli Esteri Ue.
“Occorre tenere d’occhio la Francia” spiega Quercia. “Parigi potrebbe arrivare a chiedere sanzioni europee contro Ankara in caso di incidenti attorno a Cipro o anche per la situazione in Libia”.
Chi ha diritto di effettuare ricerche in quella zona? Secondo Atene la ricerca turca è illegale perché l’area appartiene alla Zee greca.
Grecia e Turchia si contendono questo diritto di ricerca e sfruttamento in aree di sovranità marittima contesa. La Turchia rivendica il diritto di esplorare la piattaforma continentale e sostiene che la sua linea di costa sia prevalente nel dare forma ai confini delle Zee nel Mediterraneo orientale. La Grecia sostiene il diritto di tutte le sue isole, anche le minori, di influenzare la creazione di una sua zona esclusiva che si estenda, idealmente, da Creta a Cipro.
Secondo lei chi ha ragione?
Giuridicamente la questione mi pare sia controversa. Politicamente, è chiaro che c’è uno scontro geopolitico tra la Zee turco-libica e la Zee greco-egiziano-cipriota. Erdogan ha una politica marittima aggressiva, ma nel Mediterraneo orientale non ha tutti i torti.
Non sappiamo ancora se il ferimento dei tre uomini sia dovuto a una reazione della Grecia, che non ha commentato l’episodio. Potrebbe trattarsi di una provocazione turca?
Difficile dirlo perché non conosciamo con precisione la dinamica dei fatti. Certamente l’incidente è frutto dell’aumento della tensione dei giorni scorsi, dopo la firma dell’accordo tra Grecia ed Egitto per la delimitazione delle Zee. Accordo contestato da Ankara, così come Atene disconosce quello della Turchia con Tripoli.
Perché proprio a Kastellorizo?
L’isola in questione – nota a molti per essere stata negli anni novanta l’ambientazione del film italiano “Mediterraneo” e a qualcuno per essere stato un possedimento italiano nel Dodecaneso tra le due guerre – rappresenta un cruciale punto di tensione tra i due Paesi. La sua inclusione o meno nelle linee da cui determinare i confini marittimi delle Zee cambia notevolmente gli spazi di mare assegnati alla Turchia.
Erdogan può legittimamente pretendere la definizione delle Zee sulla base della pertinenza territoriale della Repubblica Turca di Cipro del Nord?
Direi di no: la situazione di Cipro, con la Repubblica Turca di Cipro del Nord (Trnc) nella parte settentrionale, non dà diritti speciali alla Turchia, in quanto la Trnc non è un’entità riconosciuta. La questione di Cipro Nord pesa però politicamente e Ankara pretende prima di trovare una soluzione alla divisione dell’isola e poi di determinarne la Zee. Cosa che Nicosia rifiuta di fare ed ha proceduto a determinare i confini marittimi con accordi bilaterali con Egitto, Libano ed Israele. Ma sopratutto Ankara sostiene, per Cipro così come per le isole dell’Egeo, che le isole hanno diritto ad un’estensione ridotta della Zee rispetto alla costa anatolica e alla piattaforma continentale che ne è il proseguimento.
È una questione risolvibile?
L’occasione per farlo si è persa nel 2005, quando la parte greca votò contro la riunificazione dell’isola. Ma lì c’era la più grande questione dell’adesione della Turchia alla Ue che ha bloccato il dossier.
Quali sono le alleanze e gli obiettivi che trasformano la vicenda in un problema europeo?
Il problema è ovviamente “europeo” in quanto coinvolge paesi membri, come la Grecia e Cipro. Ma non dimentichiamo il ruolo della Francia, che mi pare sia il Paese europeo più duro contro la Turchia. Questo si vede chiaramente sia in Libia che nella disputa con Grecia e Cipro nel Mediterraneo orientale.
Cosa potrebbe fare Parigi?
Potrebbe arrivare a chiedere sanzioni europee contro Ankara, nel caso si verificassero incidenti nelle acque di Cipro o delle isole greche. Ma potrebbe anche spingere per colpire con sanzioni gli interessi turchi in Libia. E supportare con la propria flotta le posizioni greche in un’escalation marittima con la Turchia.
Ecco: secondo lei c’è questo rischio? Si può arrivare ad un confronto militare?
Il rischio di arrivare ad una prova di forza con i turchi c’è. Fa parte non solo dell’importanza degli interessi in gioco ma anche della cultura strategica di questo paese. Erdogan, ma non solo lui, credo lo abbia messo in conto, e farebbero bene a tenerlo in conto anche gli europei.
Ci sono fattori dissuasivi?
La questione è temperata dal credito che Ankara riscuote in questo momento a Washington. Ma l’Europa rischia di finire schiacciata in un gioco più grande di lei.
Che cosa intende? Perché schiacciata?
Nessun Paese europeo, eccetto la Grecia, ha in gioco interessi vitali in questa partita. E sopratutto, nessuno è così determinato come Ankara nel perseguimento dei propri obiettivi strategici da rischiare uno scontro armato con la Turchia. Insomma, la Turchia potrebbe aver indovinato il momento giusto cogliendo lo smarrimento strategico sia di Bruxelles che di Washington. È lo stesso copione di Putin.
E l’Italia?
L’Italia ha una posizione più equilibrata sulla questione, come dimostrato nella guida della missione Irini, che dovrebbe essere fatta valere con più forza in questo momento a Bruxelles. Anche perché quello che accade nel Mediterraneo orientale influenza la partita in Libia. Ma la nostra mancanza di peso politico ci lascia ai margini di quello che sarà il gioco strategico che ridisegnerà i rapporti di forza nel Mediterraneo centro-orientale.
(Federico Ferraù)