Il Massachusetts Institute of Technology (Mit) apre la strada al controspionaggio accademico contro le infiltrazioni cinesi seguendo le indicazioni date a tale proposito dal Giappone. Ma vediamo nel concreto come la celebre università americana intende contrastare lo spionaggio cinese in settori chiave della ricerca scientifica e tecnologica.



Quando parliamo di innovazione in campo scientifico e tecnologico riferendoci al Mit americano inevitabilmente il riferimento è all’intelligenza artificiale e alla robotica, due settori che sono cruciali per la Cina. Non sorprende che l’Mit abbia introdotto un vero e proprio programma di controspionaggio.

Il programma del Mit è il frutto di un processo avviato nel 2021, quando Leo Rafael Reif, presidente dell’istituto, ha chiesto a un piccolo gruppo di professori esperti di Cina e tecnologie all’avanguardia di elaborare una serie di raccomandazioni su come il Mit dovrebbe avvicinarsi alla collaborazione con le istituzioni cinesi. Ciò ha fatto seguito all’arresto nel gennaio 2021 del ricercatore del Mit Gang Chen nell’ambito della China Initiative dell’amministrazione Trump, per non aver dichiarato i suoi legami con le istituzioni cinesi. Il caso è crollato all’inizio dello scorso anno quando il Dipartimento di Giustizia Ua ha revocato tutte le accuse contro il ricercatore sulla base del fatto che non esistevano regolamenti al Mit che gli imponessero di dichiarare le sue affiliazioni accademiche.



Il comitato di esperti, costituito dal Mit sotto la guida dei professori Richard Lester e Lily Tsai, ha redatto una prima versione del rapporto, che è stata fatta circolare nella comunità di ricerca del Mit prima della pubblicazione del documento finale lo scorso ottobre. Il processo è gestito dal China Report Implementation Team, coordinato da Lester, dal suo collega Yasheng Huang e dal nuovo presidente del Mit Sally Kornbluth.

La prima raccomandazione posta in essere da questo comitato è ovviamente quello di non lavorare con la Cina su progetti di difesa e proprio per questo il Mit prevede di realizzare programmi di formazione ad hoc per educare il direttore dei programmi sui rischi di lavorare con colleghi cinesi, ma soprattutto per rendere obbligatori corsi di storia, cultura ed economia cinesi allo scopo di comprendere meglio la forma mentis cinese. Ed è ovvio che voglia anche bandire i suoi accademici dai programmi di reclutamento di talenti cinesi, che si rivolgono principalmente ai ricercatori europei.



Dicevamo che questo sistema si ispira a quello giapponese. Ma in cosa consiste – per quanto sia possibile sapere, considerando la materia strettamente riservata sul piano militare – questo programma di prevenzione o di controspionaggio?

Il Giappone è attualmente l’unico Paese con una unità militare dedicata alla classificazione sistematica delle informazioni sulle attività, i lavori e le pubblicazioni degli studenti cinesi che studiano nel Paese. Gli stessi studenti saranno monitorati per tutta la loro vita professionale, dal momento che i loro lavori e le loro attività all’estero sono considerati questioni di sicurezza nazionale.

Per svolgere con la massima discrezione tali attività di sorveglianza a lungo termine, università e centri di ricerca ospitano da anni militari di carriera incaricati di coordinare gli archivi degli “studenti a rischio”.

I files sugli studenti cinesi rappresentano oltre il 90% di quegli archivi, e, a partire dal 2019, tutti gli studenti provenienti dalla Cina sono stati contabilizzati, indipendentemente dal loro profilo, dalla regione di origine e dal corso di studi scelto.

Dalla metà del 2022, le unità universitarie speciali del Giappone hanno prestato particolare interesse agli studenti di scienze e hanno monitorato più sistematicamente le collaborazioni di ricerca accademica. Questi sviluppi, combinati con una crescita esponenziale del numero di studenti che decidono di tornare in Cina dopo i loro studi, hanno portato a un aumento sproporzionato del numero di casi da monitorare.

Il ministero dell’Istruzione cinese ha pubblicato alla fine dell’anno scorso dati che rivelano che un numero record di studenti internazionali è tornato nel Paese nel 2022 per cercare lavoro. Questa è una preoccupazione per le università giapponesi, dove gli studenti cinesi rappresentano poco meno del 50% degli studenti stranieri. E proprio per questo, infatti, il ministero della Difesa ha deciso di rafforzare le sue attività di monitoraggio.

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