Sostenere che la guerra economica tra Stati Uniti e Cina posta in essere da Trump – ed in particolare nei confronti di Huawei e del 5G – sia deleteria e dannosa costituisce un grossolano errore sotto il profilo economico e strategico soprattutto per la sicurezza nazionale americana. A dimostrazione di quanto sia legittima la postura offensiva di Trump nel salvaguardare l’integrità della sicurezza nazionale americana, basta il modus operandi della Cina nei confronti delle terre rare, elementi chimici indispensabili per la tecnologia attuale sia nel settore civile che militare ed in particolare per i semiconduttori. Come sottolineato da Marco Lupis – giornalista e fotoreporter per numerose testate giornalistiche italiane e per la Rai – nel libro edito da Rubbettino (2020) dal titolo I cannibali di Mao, nella città di Mashan, nel nord-est della Cina, si trova la maggiore industria di grafite della Cina e cioè la Jin Yang. Essa è fondamentale non solo per le batterie agli ioni di litio, ma per gran parte dei prodotti ad alta tecnologia.



Anche per quanto riguarda il vanadio – metallo fondamentale sia per le batterie al flusso, sia per i magneti superconduttori che per le leghe ad alta resistenza per motori a reazione e aerei supersonici – la Cina sta cercando di raggiungere il monopolio.

Infatti benché la Cina produca il 56% del vanadio, questa percentuale tuttavia non sufficiente: proprio per questo la International Resources Ldt nel 2015 ha acquisito una grande miniera russa che era sull’orlo della bancarotta, mentre in Sudafrica un’altra società cinese e cioè la Yellow Dragon Holdings Ldt ha fatto rilevanti investimenti per controllare la Busheveld Complex. Tuttavia il colpo da maestro sotto il profilo degli investimenti è avvenuto nel 2017, quando l’industria cinese Shenghe Resources è riuscita a comprare l’industria americana californiana Molycorp Minerals.



Consapevole della rilevanza strategica delle terre rare, la Cina non ha avuto alcuna difficoltà a individuare nel Cile, in Argentina e Australia risorse strategiche per l’industria ad alta tecnologia: non soltanto il litio, ma anche il cobalto e il platino. Proprio per questa ragione in Argentina la Cina controlla il 41% della produzione e il 37% delle riserve di terre rare, in Australia il 58% della produzione e il 19% delle riserve. Anche in altri paesi dell’America Latina l’approccio cinese segue lo stesso percorso: in Bolivia la Cina partecipa al 100% alla produzione di terre rare, in Cile al 67%, mentre nella Repubblica popolare del Congo arriva al 52% della produzione di risorse strategiche come il cobalto.



Tutto ciò è stato anche possibile non soltanto grazie all’esistenza di industrie chimiche statali quali la Tianqi Lithium e la Ganfeng Lithium – che sono diventate il terzo produttore mondiale di litio e il terzo produttore di composti chimici al litio – ma soprattutto grazie a un’accorta politica economica illustrata nel 13esimo piano quinquennale, nel quale si considera fondamentale il periodo che va dal 2016 al 2020 per quanto riguarda la battaglia per l’industria dei metalli non ferrosi, metalli fondamentali per la costruzione di industrie strategiche nel settore della difesa, della scienza e della tecnologia.