Equinor, il colosso statale norvegese dell’estrazione di gas e petrolio, ha annunciato per il 2023 una diminuzione dei profitti contabili a 11,9 miliardi di dollari contro i 28,7 dell’anno precedente (il calo ha interessato anche il primo trimestre dell’anno in corso, sia sul quarto che sul primo del precedente). Gli annunci sono stati molto pubblicizzati da Oslo, che continua a restare nel mirino per gli enormi “extraprofitti di guerra” realizzati dall’ottavo produttore mondiale di gas naturale (tredicesimo di petrolio).



Perfino l’Economist (basato in Gran Bretagna, ora fuori Ue come la Norvegia e altro Paese estrattore di energie fossili dal mare del Nord) ha bollato come “imbarazzante” il comportamento di Oslo, che ha speculato senza minima remora sul forte rialzo del prezzo del gas provocato dalla decisione dei Paesi europei di sanzionare la Russia. Con l’aggravante che la Nato – il soggetto geopolitico che sta sostenendo sul campo l’Ucraina contro la Russia – è guidata da un Segretario generale norvegese. E Jens Stoltenberg, da più di due anni in proroga imposta dagli Usa, non fa altro che incitare gli alleati alla “guerra fino alla vittoria finale”, prospettando quindi uno scenario di instabilità strutturale e inflazionistica sui mercati dell’energia.



Secondo Robert Eccles, economista di Harvard citato dalla rivista Forbes, gli extra-ricavi norvegesi da gas e petrolio nel biennio 2022-23 sono stimabili in 170 miliardi di dollari, cui non è imprevedibile se ne possano aggiungere fra 50 e 100 a seconda della durata del conflitto in Europa dell’Est. Nonostante questo Oslo ha sempre fatto orecchie da mercante a qualsiasi ipotesi – anche minima – di “contributo di solidarietà” ai Paesi Ue (e alcune sollecitazioni sono giunte anche da settori politici interni alla Norvegia, come i Verdi).

A riscaldare nuovamente il caso è giunta negli ultimi giorni un’intervista a Nicolai Tangen, Ceo di Norges Fund: il fondo sovrano norvegese che gestisce i proventi da gas e petrolio a fini di welfare per i 5,5 milioni di abitanti. Norges ha raggiunto gli 1,6 trilioni (cioè 1.600 miliardi) di dollari di patrimonio investito, da cui ha “estratto” nel 2023 profitti record per 213 miliardi. Tutto merito, secondo Tangen, del progressivo spostamento degli investimenti dall’Europa in America (dove oggi Norges ha più della metà dei suoi asset, invertendo gli equilibri di appena un decennio fa rispetto ai mercati europei).



Ma il capo di Norges non si è limitato a decantare le lodi dei titoli tecnologici Usa, come veicolo strutturale di innovazione e quindi di creazione di valore finanziario per azionisti e obbligazionisti. Parlando al Financial Times si è addentrato in una singolare analisi della produttività del lavoro sulle due sponde dell’Atlantico: per affermare come “in Europa si lavori meno che in America”. Oltre al danno – il 15% di inflazione infiammata dal rincaro del gas – Tangen ha dunque sparato verso l’Europa un mega-drone armato di irrisione beffarda: da parte di un Paese che non ha evidentemente timore di avvicinare la propria ricchezza da rendita a quella della stessa Russia o degli Emirati del Golfo, fondate sulle energie fossili. E finché ci sarà guerra ci saranno profitti: tanto più se il “ministro della guerra” della Nato è norvegese. Garanzia che – se anche Mosca decidesse di attaccare la Norvegia lungo 200 chilometri di frontiera ai confini dell’Artico – arriverebbero certamente i bersaglieri italiani o i Mirage francesi o i Leopard tedeschi a difendere i forzieri di Norges.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI